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REDRUM 327 di Ko Ya Sung (Ed. FlashBook 2005 - € 5.90)







Redrum, come molte altri titoli, fa parte di quella produzione non nipponica che spesso vien vista, erroneamente e non senza un filo d’ignoranza, come fumetto di serie B.
L’editoria lo definisce mahnwa (per distinguerlo dai giapponesissimi manga)e al di là del marchio di fabbrica coreano, qualche differenza saliente sta nel tratto, meno pulito forse e nel chara, per alcuni aspetti decisamente molto più realistico.




Composto di soli tre volumi, la vicenda narra il terribile weekend di 7 studenti, amici tra loro, che nello chalet di montagna (proprietà di uno di loro)son costretti a far i conti con un segreto che li lega e con i sentimenti contrastanti ed inaspettati che provano gli uni nei confronti degli altri.



Seppur la pecca principale della narrazione stia nella facilità con la quale, abbastanza velocemente, si intuiscono tutta una serie di cose, il forte approfondimento psicologico (in soli tre numeri è una cosa che spesso fa difetto)e la riflessione su alcuni aspetti del rapporto tra le persone ne fa, a mio avviso, un fumetto non solo molto fruibile ma anche interessante.
Sulla base di una forte denuncia verso la mancanza di valori della componente più elitaria della società, la narrazione è costellata di spunti che volta volta mettono in luce aspetti diversi della questione portante, quella che in fondo è alla base del messaggio principale: TUTTI, indistintamente, forniamo agli altri dei nostri personalissimi codici tramite i quali comprenderci e “avvicinarci”. Una sorta di chiave di lettura nascosta che permetta al mondo esterno di rapportarsi con noi nella maniera più adeguata. Le conseguenze spesso negative, se non nefaste (nel caso di questa storia)che insorgono quando non riusciamo a comprendere questi codici, non sono mai imputabili alla loro difficoltà di lettura ma al nostro personale disinteresse nei loro confronti e nei confronti di chi, a modo suo, cerca di comunicare con noi.



Un altro tratto molto caratteristico della storia è costituito dai dialoghi. Al di là dell’innegabile valore dell’adattamento (nelle stesse note a fine volume viene sottolineato dalla redazione che non vi è stato nessuna “ricostruzione lessicale”), è uno dei fumetti coi dialoghi più credibili e verosimili che abbia mai letto.
Sulla bocca di personaggi giovanissimi (appena ventenni), non affiorano mai discorsi indecifrabili o altisonanti (come spesso invece accade; ci son bambini nei fumetti che fan discorsi da far rabbrividire).

Graficamente parlando, c’è moltissima cura per gli ambienti (l’autore ha usato lo chalet di montagna dei suoi come riferimento), le tavole a colori in apertura di ogni volume sono particolarmente belle e credo faccian uso di colorazione al computer per alcuni elementi (in maniera molto sapiente peraltro) e le scelte registiche (inquadrature e sceneggiatura), non differiscono in maniera netta dal linguaggio del manga dal quale senz’altro son influenzate.



In definitiva, credo che il fumetto coreano possa riservare buone sorprese a tutti coloro la cui filosofia non è necessariamente O GIAPPONE O MORTE.


P.S.Chiedo venia per le due ultime scansioni, i margini interni alla rilegatura non son ben delineati ma...NON VORRETE MICA CHE SVENTRI UN VOLUMETTO PER BUONA PACE DEI VOSTRI OCCHI VERO? [SM=x53142]





caitli


"Prova a schiacciare un bruco. Ecco fatto, facile vero? Bene, ora prova a rifare il bruco"