Pedofilia, condannato Augusto Martelli
La Cassazione: "Reato collegarsi ai siti"
Il musicista 67enne autore di Mina, dello 'Zecchino d'Oro', di molti jingle e sigle
si era difeso sostenendo di fare ricerche per i carabinieri. Ma era stato smentito
La Suprema Corte ha equiparato produttori e consumatori di materiale pedopornografico
"Procurano una grave lesione alla libertà sessuale e individuale dei minori coinvolti"
ROMA - Condannato per pedofilia online Augusto Martelli, autore di Mina e di brani di successo e arrangiatore di canzoni dello 'Zecchino d'Oro' e di molti jingle. Al musicista 67enne sono stati inflitti un anno e sei mesi di reclusione. La condanna è stata confermata dalla Cassazione, stabilendo che commette reato chi si collega ai siti a pagamento per guardare e scaricare materiale pedopornografico. In pratica, secondo gli 'ermellini' il "consumatore" di queste immagini, viene considerato "dannoso" nei confronti dei minori sfruttati come se fosse egli stesso il "produttore" di tale materiale.
L'inchiesta. Martelli era finito nell'inchiesta condotta dal pm milanese Pietro Forno, culminata nel novembre 2001 con la perquisizione delle abitazioni di 113 persone che si collegavano a siti internet pedopornografici pagando l'accesso con la carta di credito. La posizione del compositore, che doveva rispondere della detenzione di centinaia di foto pedopornografiche che gli erano state sequestrate nel computer di casa, era stata stralciata e inviata per competenza territoriale a Como. Nell'aprile del 2003 il tribunale della città lo aveva condannato a 18 mesi, con pena sospesa.
La difesa di Martelli. "Io non c'entro nulla con i pedofili - aveva dichiarato il musicista appena il suo nome era comparso tra quello degli indagati - semmai li combatto e proprio per questo sono finito in questa storia: ho cercato di seguire l'esempio di don Di Noto e ho fatto indagini con la mia carta di credito". Il musicista, padre di cinque figli, aveva raccontato di una sua collaborazione con i carabinieri "per raccogliere materiale". Ma la collaborazione di Martelli era stata negata sia dagli inquirenti sia dai carabinieri.
L'avvocato. Senza successo anche la linea di difesa del legale di Martelli che ha sostenuto in Cassazione una "illegittimità costituzionale" delle norme contro lo sfruttamento sessuale dei minori sostenendo che "non si può, esprimendo un punto di vista solo moralistico, condannare una persona solo perché si compiaccia di scene pornografiche o pedopornografiche, quando non abbia in alcun modo partecipato alla realizzazione del prodotto e non ne tragga un vantaggio economico e, soprattutto, non lo divulghi".
La sentenza. I supremi giudici della Terza Sezione penale, - sentenza 41570 - hanno replicato: "E' indubbio che tutta l'attività organizzativa ai fini della produzione, diffusione e messa in commercio di certe immagini, esiste e si perpetua solo perché vi è, a monte, una domanda: un pubblico, cioè, di consumatori che intende acquistarle e detenerle".
"Pertanto - proseguono i giudici di piazza Cavour - il comportamento di chi accede ai siti e versa gli importi richiesti per procurarsi il prodotto, è altrettanto pregiudizievole di quello dei produttori. Ed è questa la ragione per la quale, del tutto legittimamente, il legislatore punisce anche quelle condotte che concorrono a procurare una grave lesione alla libertà sessuale e individuale dei minori coinvolti".
I giudici della Suprema Corte ricordano in proposito che "qualsiasi espressione della propria personalità e libertà, è lecita e costituzionalmente garantita solo se, nella sua esplicazione, non comporta danno per altre persone: specie se si tratta di soggetti incapaci di difendersi e impossibilitati ad operare delle libere scelte", come nel caso dei minori sfruttati.
(12 novembre 2007)