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La AnimeJappoManga biblioteca

Ultimo Aggiornamento: 18/07/2010 20:03
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Post: 9.854
Città: MILANO
Età: 54
Sesso: Maschile
10/04/2010 00:21



TITOLO: Da Goldrake a Dragonball, viaggio tra i fumetti e i disegni animati giapponesi
AUTORE: autori vari
CASA EDITRICE:
PAGINE: 63
COSTO: 10€
ANNO: 2010
FORMATO: 24 cm X 17 cm
REPERIBILITA': Negozio Yamato Video

Questo è il catalogo per la mostra “Da Goldrake a Dragonball, viaggio tra i fumetti e i disegni animati giapponesi” del comune di Cadoneghe, ma chiamarlo semplicemente “catalogo” è un peccato. E' molto più bello e curato di alcuni saggi su manga ed anime che sono usciti in questi ultimi tempi, sull'onda di un boom della saggistica anime/manga. Forse non svela nulla di nuovo, visto che sono riproposte le cose standard sulla genesi dell'invasione degli anni 70/80, sulle serie storiche, la spiegazione dei termini “anime” e “manga, le censure e le classiche tematiche divise per generi (shojo, robottoni, shonen, maghette, sport etc). Nonostante ciò il tutto, pur nella brevità, è scritto a dovere e approfonditamente (sempre nella brevità del libricino). In fondo i vari autori sono ferrati in materia di anime e manga: Silvio Andrei, Gianni Brunoro, Elsa De Marchi, Arianna Magnato, Mario A. Rumor.
Secondo me la sua lettura è piacevole anche per una persona già informata, ma sarebbe un ottima introduzione per chi è a digiuno su anime e manga (magari come regalo per acculturare), considerando la sua brevità non stancherebbe il lettore non appassionato.
Purtroppo penso (non sono sicuro) sia reperibile solo nel negozio della Yamato Video di Milano, magari anche tramite il sito o via telefono.
Riporto l'indice:
L'arrivo degli anime in Italia. Cronaca di un'invasione calcolata;
Gli anime. I disegni animati giapponesi;
I manga. Immagini in movimento;
Fumetti in Italia. Manga, ossia i fumetti dell'altro mondo;
Il cinema d'animazione. Giappone vs Walt Disney;
Censure. Malintesi e attacchi.
Universo shojo. Feulliton a fumetti e a disegni animati;
Universo shonen. Avventure, combattimenti e belle donne;
Goldrake & Co. Il mito dei “robottoni”;
Lo sport. Lacrime e sudore.
A scuola. Studenti inetti e amori tra i banchi;
Maghette. Fa la magia tutto quello che vuoi tu...
Supereroi. Umani, io vi salverò;
I generi letterali. Letteratura disegnata;
Horror. Brividi alla schiena;
I grandi personaggi storici. La storia occidentale;
La commedia. Sorridi, non avrai altra vita;
Il fantasy. Con Alice, la di là dello specchio.
Fantascienza. Storie di questo ed altri mondi.

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Post: 9.854
Città: MILANO
Età: 54
Sesso: Maschile
25/04/2010 21:47



TITOLO: Il mito dell'omogeneità giapponese, storia di Okinawa
AUTORE: Rosa Caroli
CASA EDITRICE: FrancoAngeli
PAGINE: 350
COSTO: 30€
ANNO: 1999
FORMATO: 23 cm X 15 cm
REPERIBILITA': Raro nelle librerie di Milano

Questo saggio storico di Rosa Caroli è scritto benissimo e contiene un quantità enorme di dati ed informazioni, mai pesanti, ovviamente per chi è interessato al tema e alle letture del genere.
Per lungo tempo si affermò che la cultura Ryukyuana fosse una variante di quella giapponese, teoria che avallò l'invasione del 1609 fino all'annessione nipponica del 1879. Intorno al 1970, ma con anticipazioni (studi inascoltati) fin dal 1920, si fece largo l'idea che le isole Ryukyu non dovessero ai popoli nipponici la propria cultura, ma alle popolazioni cinesi.
La prima forma di governo delle Ryukyu risale intorno al X° secolo con la dinastia Tenson, che cedette il potere al primo re del regno delle Ryukyu, re Shunten, nel 1187. Durante il regno di Satto (1350-1395) giunsero gli emissari del primo imperatore cinese della dinastia Ming, Hongw, che chiese ai barbari di sottomettersi all'autorità imperiale celeste. La sottomissione inizio gli scambi commerciali ufficiali tra Cina e Ryukyu, facendo dell'arcipelago una stato tributario della Cina. Nel 1429 il primo regnante, Hashi, della dinastia Sho riunì le Ryukyu sotto un unico regno. Quindi si recò dall'imperatore cinese per farsi riconoscere regnante, negli annali cinesi fu investito con il cognome di Sho e fu registrato come “re delle Liuqiu”.
Nonostante il buddismo fosse già stato introdotto il culto più praticato era quello autoctono delle Noro. La sorella del capo tribale (quindi anche del re) diventava sacerdotessa e si incaricava di mantenere i rapporti con l'aldilà. Nel 1606, dopo che Tokugawa divenne shogun, venne richiesto dal feudo di Satsuma una formale sottomissione del regno delle Ryukyu. L'allora re Sho si rifiutò, e nel 1609 venne inviata una spedizione militare che occupò le Ryukyu. Il re Sho venne condotto a Edo e trattenuto lontano dal suo regno fino al 1611, quando Sho si sottomise allo shogun e pose il suo regno sotto l'amministrazione del feudo di Satsuma. Durante la sua permanenza a Edo il re Sho fu trattato come il re di un paese straniero, ed anche in seguito, nonostante l'accettazione del controllo di Satsuma, il regno delle isole Ryukyu mantenne lo status di paese straniero. In quanto il suo sovrano era investito della sua autorità dall'imperatore cinese. Inizio quindi, per circa 2 secoli e mezzo, la “duplice subordinazione” del regno delle Ryukyu. Il regno non faceva parte del Giappone, era riconosciuto dalla Cina e quindi era una nazione autonoma, ma era una sorta di possedimento privato di Satsuma. Il feudo di Satsuma permise ed incentivò questa ambiguità perché necessitava dei beni provenienti dalla Cina, tramite le Ryukyu (stato tributario), in un periodo di quasi totale chiusura del Giappone. Infatti le dinastie imperiali cinesi furono mantenute all'oscuro della sottomissione verso il Giappone, in modo da poter continuare ad incamerare i beni cinesi.
Il re ryukyuano Sai 0n (1682-1761) fu il promotore di una politica di neutralità, leale verso la Cina, ma realistica verso i giapponesi che stanziavano nel proprio regno. Alla fine del 700 sulle isole Ryukyu iniziarono ad arrivare i primi occidentali, che chiedevano la stipula di contratti commerciali e l'apertura dei porti del regno. Il sovrano delle Ryukyu, su ordine dei Tokugawa, si rifiutò sempre di instaurare rapporti con gli occidentali. Finché arrivo il commodoro Perry nel 1853, che, sapendo della “doppia subordinazione” delle Ryukyu, voleva usare l'arcipelago come ponte per arrivare al Giappone. Con la restaurazione Meiji iniziò la fine del regno delle Ryukyu, man mano il Giappone rivendicava con sempre maggiore forza la sua sovranità sulle isole. Nel 1879 ci fu l'annessione, che venne portata avanti anche con richieste giuridiche internazionali, ma che fu conclusa con l'invasione delle Ryukyu, che non possedevano né armi né un esercito, con la motivazione della omogeneità razziale tra il Giappone e le Ryukyu. Le Ryukyu cambiarono così nome in Okinawa, diventando una provincia, il re Sho Tai fu obbligato a risiedere a Tokyo. Queste misure presero il nome di “Ryukyu shobun”, e sancirono la fine del regno dopo 7 secoli.
Una volta annesse le Ryukyu il governo di Tokyo iniziò ad assimilare culturalmente la popolazione, tramite 3 direttrici: La revisione del sistema educativo; la coscrizione obbligatoria; la riorganizzazione dell'ordine pubblico. I burocrati giapponesi inviati a Okinawa, oltre ad essere gli scarti dell'amministrazione imperiale, consideravano gli okinawani non giapponesi. In molti documenti dell'epoca gli okinawani vengono tacciati di scarsa devozione verso il tenno e il kokutai. Inoltre la popolazione non era considerata affidabile nel caso in cui si fosse dovuto difendere l'arcipelago da una guerra contro la Cina. Nella popolazione ryukyuana si svilupparono 2 correnti: quella (maggioritaria) detta “corrente degli ostinati” o bianchi, che sperava ad un ritorno alla Cina e considerava i giapponesi degli usurpatori, pur non opponendosi a loro militarmente. E la “corrente degli innovatori” o neri, che, accettando i cambiamenti moderni, sostenevano più o neo attivamente la causa nipponica. Con la sconfitta della Cina nella guerra contro il Giappone (1894-95) le speranze della “corrente degli ostinati” tramontarono, lasciando spazio alla rassegnazione. Una delle forme di protesta dei ryukyuani era quella di mantenere la classica acconciatura di capelli, la katakashira. La cultura dell'etica militare era sconosciuta alla popolazione di Okinawa, che fu sempre disarmata. Inoltre sotto il regno di Sho Shin (1477-1526) fu addirittura vietato per decreto reale l'atto di sacrificare la propria vita come atto di fedeltà verso il proprio capo. La diffidenza dei governanti Meji era così alta che, nonostante la coscrizione obbligatoria, vennero posti di vincoli fisici all'arruolamento, vincoli che tenevano fuori gran parte dei giovani okinawani. Questi vincoli decaddero nel 1907, quando, ormai, l'assimilazione tramite la scuola dei giovani era stata effettuata.
L'educazione scolastica riuscì ad indottrinare la popolazione verso principi a loro sconosciuti, l'unità razziale giapponese (di cui non avevano mai fatto parte), la devozione verso l'imperatore, il nazionalismo, il militarismo, la religione di stato shintoista.
Il dialetto Hogen, la lingua ryukyuana, fu vietato, e l'insegnamento del cinese fu sostituito col giapponese, che era sconosciuto alla quasi totalità della popolazione. L'indottrinamento diede i suoi frutti durante il secondo conflitto mondiale, quando gli okinawani pagarono un forte tributo di vite umane.
Il Giappone adottava verso gli abitanti di Okinawa la politica “della pace ad ogni costo”, con lo scopo di ridurre al minimo le frizioni con la classe dirigente e nobile ryukyuana. L'arcipelago non fu mai ricco, e la povertà continuò anche dopo l'annessione nipponica, il governo di Tokyo si limitava a foraggiare la classe dirigente per non avere noie. Dei 27 governatori di Okinawa dal 1879 al 1945 nessuno era dell'arcipelago, ed il numero dei funzionari pubblici era bassissimo.
Nel periodo fino alla fine del secondo conflitto mondiale l'inasprimento dell'ideologia nazionalista nipponica portò a creare il nesso tra diversità (i costumi di Okinawa) e dissenso, quindi gli okinawani era accusati di non sostenere il tenno e il kokutai, l'accusa contro di loro era quella di “hinohonteki” (non giapponesità). Il diverso trattamento verso Okinawa, rispetto al resto del Giappone, risaltò nel periodo successivo all'attacco di Pearl Harbour fino alla battaglia di Okinawa. Fin dal 1943, quando la vittoria della guerra lampo era fallita, Okinawa fu pesantemente fortificata, in previsione di uno sbarco americano. Per alcuni questa fu la prova che il governo di Tokyo aveva deciso di confinare il conflitto su terra in una zona sacrificabile del paese, sacrificabili anche gli okinawani. Infatti dal 1944 i familiari dei giapponesi furono “rimpatriati” in zone meno esposte, mentre gli okinawani venivano spostati in zone dove non intralciassero i militari giapponesi, zone, molto spesso, non rifornite o infestate dalla malaria (circa 3600 okinawani morirono per questo). Per ultimo, altro comportamento difforme rispetto ai giapponesi, gli okinawani, visto l'insufficienza delle truppe regolari, furono arruolati fuori dalle fasce di età consentite (meno di 15 ani per i maschi e meno di 17 per le femmine). Per difendere il sacro suolo nipponico questi soldati bambini (oppure vecchi ultra sessantenni) erano equipaggiati di bastoni di bambù.
I libri di testo attuali giapponesi sono superficiali su vari aspetti della seconda guerra mondiale, in particolare sulla battaglia di Okinawa. Ci si limita a scrivere che la popolazione oppose una “accesa resistenza” in una “terribile battaglia che durò circa 3 mesi” dove trovarono la morte “numerose persone” e l'esercito venne annientato. Nulla sui metodi di arruolamento della popolazione. Nulla sull'evacuazione della zona, che più che proteggere gli abitanti, mirava a ridurre le bocche da sfamare e di quanti non fossero arruolabili. Nulla sulle centinaia di okinawani giustiziati perché ritenute spie, solo per aver parlato in okinawaese. Nulla sui “suicidi di gruppo”, spesso forzati dai militari giapponesi. Nulla sui civili uccisi perché cercavano di arrendersi agli americani.
I militari giapponesi erano, per esempio, autorizzati ad uccidere i bambini di Okinawa, se col loro pianto rischiavano di farli scoprire. A questo punto i genitori avevano solo 2 possibilità per potersi salvare, uccidere il nemico oppure i propri figli.
Secondo dati giapponesi le vittime della battaglia di Okinawa furono 200 mila e 12 mila gli americani. Altri dati indicano solo trai civili di Okinawa tra i 150 mila e i 200 mila morti. Okinawa era stata sacrificata per rallentare per 3 mesi l'avanzata Usa.
Alla fine della battaglia di Okinawa l'arcipelago fu posto sotto amministrazione Usa. Il territorio era devastato, l'agricoltura azzerata, senza contare i feriti e le malattie. Sorse anche il problema dei rimpatriati okinawani dai territori invasi ed ora persi dai giapponesi. Gli Usa iniziarono la distribuzione di cibo e la ricostruzione dell'isola, nel contempo i militari americano requisirono 30000 acri fertili (un terzo delle terre coltivabili) per destinarle ad uso militare, ciò compromise la già precaria autosufficienza alimentare okinawana.
Quando il Giappone si arrese iniziò la smilitarizzazione della nazione nipponica, ma non per Okinawa, che vide l'occupazione Usa fino al 1972. Nel 1946 gli usa rinominarono l'arcipelago col nome originale, Ryukyu, e lo separarono dall'amministrazione giapponese. Verso il 1949, la mutata situazione geopolitica della regione, portò alla trasformazione di Okinawa in una base militare permanente contro l'espansione comunista. Gli Usa requisirono terreni sempre più vasti (furono 150 mila i contadini espropriati) e trasformarono Okinawa in una retrovia della guerra in Corea e poi in Vietnam. La popolazione iniziò a protestare contro la presenza americana, nacquero i primi movimenti popolari per il ritorno al Giappone (fukkikyo). Ma anche Tokyo ebbe dei vantaggi dalla militarizzazione di Okinawa, riuscì così a scaricare sull'arcipelago il grosso delle truppe Usa, con annessi proteste della popolazione. Evitò di avere sul suolo giapponese le basi nucleari americane, che vennero, invece, costruite ad Okinawa.
La legittimità internazionale della separazione dal Giappone di Okinawa poggiava su basi labili. L'articolo 3 del trattato di San Francisco sanciva la separazione di Okinawa. Nel 1962 Kennedy dichiarò che Okinawa sarebbe stata restituita al Giappone quando le garanzie per il mondo libero lo avrebbero permesso. Il governo di Tokyo non si oppose mai allo status quo, che manteneva su Okinawa e su i suoi abitanti solo una “sovranità residua”, che era sconosciuta nel diritto internazionale. I ryukyuani rimanevano cittadini giapponesi, ma l'unico diritto del Giappone, in base alla “sovranità residua” era che gli usa non avrebbero trasferito l'arcipelago ad un paese terzo. In base all'articolo 3 gli usa avrebbero dovuto presentare una richiesta di amministrazione per le Ryukyu all'Onu, col parere del Giappone, ma gli usa, in più di 2 decenni, non fecero mai tale richiesta. Mantenendo, così, l'amministrazione totale delle Ryukyu. Comunque, anche in questo caso, il Giappone non protestò mai ufficialmente con gli usa o con l'Onu. Sempre l'articolo 3 trasformava le Ryukyu e i suoi abitanti in una non-nazione, non veniva applicata né la costituzione giapponese né quella statunitense. Un tribunale ryukyuano poteva essere sostituito da uno Usa a discrezione degli americani. Questo capitava nei numerosi casi di crimini, anche gravi, commessi dai militari americani contro ryukyuani, fatto che generava un forte malcontento tra la popolazione contro gli americani. Il vertice di comando Usa nelle Ryukyu aveva il diritto di veto sull'attività dell'assemblea legislativa, emanare ordinanze, introdurre emendamenti, inoltre nominava il capo dell'esecutivo, i giudici, e poteva rimuovere i funzionari pubblici.
Nel 1951 fu costituita l'associazione per la promozione del ritorno al Giappone, che si batté per 20 anni. All'interno dell'associazione spiccava l'opera dell'associazione degli insegnanti di Okinawa. Man mano il movimento si spostava su posizioni antiamericano, a causa della frustrazione per non riuscire ad ottenere nessun riconoscimento alle proprie richieste.
E' curioso notare che durante l'annessione giapponese del 1879 i ryukyuani non usavano il nuovo nome Okinawa, per mantenere le proprie tradizioni. Così, durante l'occupazione Usa, che avevano rinominato Okinawa in Ryukyu, si continuava ad usare il nome Okinawa imposto dai giapponesi, per rimarcare la non annessione americana, perdendo così lo spirito d'indipendenza ryukyuano.
L'amministrazione americana considerava l'associazione per il ritorno al Giappone, specialmente quella degli insegnanti, uno strumento del comunismo internazionale, in particolare di Pechino.
Il dibattito sulla riunificazione di Okinawa verteva principalmente sulle basi militari Usa. Gli americani erano disposti a restituire l'amministrazione al Giappone mantenendo le basi, che erano la fonte primaria di reddito per i ryukyuani, ma il problema più grosso erano le basi militari nucleari e chimiche, vietate dalla costituzione giapponese. Ben presto si delineò uno scambio, la restituzione delle Ryukyu al Giappone in cambio del mantenimento delle basi usa, anche quelle nucleari. La firma nel 1971 a Washington che sanciva il ritorno di Okinawa al Giappone non fermò le proteste della popolazione, dato che fu confermato il carattere militare dell'arcipelago, la presenza di tutte le basi Usa, e la sostituzione con militari giapponesi di quelle poche unità americane rimpatriate. Nel 1970 a Koza ci furono gravi scontri tra la popolazione e le truppe Usa.
Il 15 maggio 1972 le Ryukyu tornarono ad essere territorio giapponese, ricambiando nome in Okinawa. L'insoddisfazione degli okinawani per gli accordi tra Usa e Giappone lasciò spazio alla felicità per la riunificazione e la fine dell'amministrazione americana, ma questa euforia durò poco. I problemi dovuti al sottosviluppo economico/industriale dell'arcipelago non tardarono a farsi sentire. Tokyo iniziò un piano decennale per lo sviluppo di Okinawa, che non era ai livelli economici del resto del Giappone. Già nel 1975 la situazione economica di Okinawa era peggiorata, più inflazione, più disoccupazione, aumento dei costi dei terreni, si era in pratica passati da un dominio economico Usa ad uno dei capitali giapponesi. Non erano state incentivate le poche industrie di Okinawa, che fallirono ben presto a causa della concorrenza di quelle della madrepatria, ed in più iniziò lo sfruttamento selvaggio dei siti ambientali, rimasti fino ad allora abbastanza integri. Inoltre le problematiche legate alle basi Usa continuavano come prima del 1972, i soprusi e le violenze dei militari americani non diminuirono. In più la riunificazione riportò i militari giapponesi sul suolo di Okinawa, riesumando i ricordi ancora freschi dei loro soprusi durante la battaglia di Okinawa. Il governo di Tokyo cercò di far rientrare gli okinawani all'interno dello spirito di rispetto verso l'imperatore, cosa che, invece, scatenò un forte dibattito (solo a Okinawa) sulle responsabilità di Hirohito sia sulla guerra che sulla battaglia di Okinawa. Durante la prima visita di un esponente della casa imperiale nel 1975, il principe ereditario Akihito dovette essere protetto da più di 300 saldati e subire numerose proteste da parte degli okinawani. Contro Akihito e la consorte Michiko fu addirittura lanciata una bomba molotov. Questo fatto avvenne durante la visita al monumento commemorativo di Himeyuri, eretto per le 200 studentesse, facenti parte del corpo di giovani volontarie, morte durante la battaglia di Okinawa. Di quel corpo di volontarie ben 40 erano ancora vive, di queste 40 solo 3 accettarono di incontrare la coppia imperiale, le altre si rifiutarono adducendo i legami tra Akihito ed Hirohito, il responsabile ultimo di quelle morti.
Nel 1979 vennero pubblicate, da fonte Usa, alcune lettere (documenti Sebald) intercorse tra MacArthur e la casa imperiale, cioè Hirohito, il cui contenuto ebbe l'effetto di approfondire il solco tra okinawani e yamatonchu (come gli okinawani chiamano i giapponesi). Nelle lettere si evinceva che Hirohito aveva caldeggiato la cessione di Okinawa agli usa (anche per 50 anni!) pur di salvare la sua figura e il sistema imperiale.
Nel 1987 venne annunciata la prima visita di Hirohito ad Okinawa (in assoluto la prima visita di un imperatore giapponese nell'arcipelago), nonostante l'appoggio delle autorità di Okinawa alla visita iniziarono le polemiche sulle responsabilità di Hirohito e le manifestazioni contro la sua venuta. Ad un mese dall'arrivo di Hirohito la casa imperiale annunciò che, a causa di un piccolo intervento chirurgico, l'imperatore sarebbe stato sostituito da Akihito. In fondo, togliendo i 27 anni di occupazione Usa, Okinawa era stata giapponese per neppure un secolo, forse troppo poco per infondere nella popolazione quel senso di fedeltà, almeno nelle manifestazioni pubbliche, che animava il resto dei giapponesi.
Il 1989 vide 2 eventi importanti per Okinawa e il Giappone. La morte di Hirohito e l'ascesa al trono di Akihito, non coinvolto nei fatti della seconda guerra mondiale. E la caduta del muro di Berlino, con la fine della guerra fredda, ciò fece sperare agli okinawani un forte ridimensionamento dello schieramento militare americano. Ma fino al 1996 nulla cambiò, Okinawa, col suo 0,6% del territorio nazionale, continuò ad ospitare il 75% della basi Usa in Giappone.
Il 4 settembre 1995 una studentessa dodicenne fu violentata da 3 militari americani. La violenza fu la classica goccia che fa traboccare il vaso. A seguito delle proteste della popolazione e della preoccupazione della autorità di Tokyo e Washington che l'ostilità degli okinawani raggiungesse il punto del non ritorno, nel 1996 fu firmato l'accordo per la prima riduzione di basi e militari Usa ad Okinawa.
Sempre nel 1995 il governatore di Okinawa Ota Masahide sollevò un contenzioso legale cn Tokyo sugli affitti ai proprietari dei terreni espropriati dagli americani. Il conflitto legale, cosa mai accaduta prima, fu portato fino all'Alta Corte giapponese, che diede torta a Ota e agli okinawani, ma fu la prima volta che Okinawa si Ribellava apertamente a Tokyo. Per una volta un politico di Okinawa non era accusabile di Jidaishugi, “servilismo ed adulazione dei potenti”. Caratteristica della classe dirigente okinawana (e ryukyuana prima) che nei secoli, e anche alla fine degli anni 90, li aveva contraddistinti.
Fino alla fine degli anni 90 Okinawa, nonostante i passi in avanti in economia, è rimasta la provincia giapponese meno ricca e col tasso di disoccupazione più alto.
Il mito della omogeneità giapponese, che pervade gli abitanti della madrepatria, genera discriminazione verso le minoranze, e gli okinawani, con la loro scarsa fedeltà alla casa imperiale, continuano a dimostrare la loro unicità ai giapponesi.



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28/04/2010 23:57



TITOLO: L'agape celeste, i riti di consacrazione del sovrano giapponese
AUTORE: Fosco Maraini
CASA EDITRICE: Luni Editrice
PAGINE: 123
COSTO: 16,5 €
ANNO: 2003
FORMATO: 24 cm X 17 cm
REPERIBILITA': Raro nelle librerie di Milano

Maraini avverte che il libro conterrà “spiccioli di cronaca” dei riti di consacrazione di Akihito, quindi non un saggio approfondito, e comunque il libro è molto esauriente.

Per i riti funerari di Hirohito si seguì il rituale previsto dalla costituzione, che impone una netta separazione tra Stato e fede religiosa. Per i riti di consacrazione di Akihito, invece, l'atteggiamento delle autorità fu differente. Il confine tra Stato e fede non fu netto, tanto da generare preoccupazione, se visto da sinistra, o soddisfazione, se visto da destra.
Circa il 10% della popolazione è contraria all'istituzione della casa imperiale, sono gli aderenti ad alcuni gruppi religiosi, i movimenti politici di sinistra (non in toto), e le minoranze che si sentono soggette a discriminazioni.
Il termine “imperatore”, rivolto al regnante giapponese, non è il più corretto, specialmente per il significato che diamo noi occidentali al termine di “imperatore”. Furono pochi i regnanti ricordati come guerrieri (Jimmu, Buretsu, Temmu, Mommu, Shomu, Kammu) o conquistatori di imperi (che furono solo 3: Meiji, Taisho e Showa), con cui si identificherebbe meglio il termine “imperatore”.
Il termine più corretto per identificare il regnante giapponese è, quindi, quello di Tenno, infatti i 2 ideogrammi che lo compongono uniscono i concetti di “cielo” (ten) e di “sovrano” (o), traducibile in “Celeste Re” o “Celeste Signore”.
Il mito popolano (e per una parte della storia del Giappone anche statale) afferma che la dinastia giapponese sia la più antica del mondo. In realtà la dinastia inizia o nel periodo dal 422 al 460 DC oppure nel periodo Keitai (507-531 DC). Akito sarebbe ufficialmente il 125° Tenno, ma in realtà sarebbe l'88°, eliminando i re leggendari e i personaggi controversi. Il primo Tenno accertato fu la regina Suiko (593-621 DC), la pretesa che la dinastia imperiale risalga al 660 AC, con il Tenno Jimmu, è ormai considerata una leggenda. L'inganno poggia su 2 livelli: qualitativo e quantitativo. Qualitativo perché semplici capi tribù furono, nei secoli successivi, innalzati al rango di Tenno. Quantitativamente perché i primi mitici Tenno raggiunsero età improbabili (Jimmu 127 o 137 anni, Koan 137 anni, Korei 128 anni, Sujin 119 o 163 anni, Suin 141 o 153 anni), lo scopo finale di questa dilatazione di età fu quello di creare delle profonde radici all'istituzione imperiale, il più possibili antiche. Il termine Tenno dovrebbe essere nato, e considerato con il significato attuale, dopo la riforma Taika (Gran Mutamento) del 645 DC. Il motivo della scelta del termine “Tenno” non è conosciuta, ma alcuni ricordano che in quel periodo il taoismo cinese era assai popolare alla corte nipponica. In terminologia taoista Tenno indicava anche la “Stella Polare”. Il termine Tenno fu quello che ebbe più fortuna nei secoli, infatti gli altri termini furono numerosi, da quelli arcaici a quelli più moderni. Il Tenno può rappresentare più concetti assieme: intermediario tra popolo e dei, simbolo della nazione, pronipote del sole, duce di guerra e pace.
Sono 3 i riti che legittimano e santificano la successione dei Tenno: Senso, Sokurei, Daijosai.

Il “Senso” può essere reso con terminologia occidentale come “Occupazione del trno”. Durante il Senso vengono trasferiti alcuni oggetti al nuovo Tenno, in italiano si chiamerebbero “Insegne regie”. Questi oggetti sono il gioiello (Yasakani no Magatama) e la spada (Ame no Murakumo no Tsurugi). Oltre a questi 2 c'è un terzo oggetto sacro, lo specchio (Yata no Kagami), simbolo della dea Amaterasu Omikami, ma lo specchio è così importante che non si rischia di spostarlo dal santuario Naiku di ise. Per il rito si utilizza una copia dello specchio sacro, che rimane anch'esso nel tempio shinto del palazzo imperiale.
Il rito del Senso è quello più importante, che è stato sempre compiuto, essere Tenno equivale a ricevere i 3 oggetti sacri. La spada originaria fu smarrita in mare durante la battaglia navale di Danno-Ura nel 1185, dal 1190 al 1210 si usò una seconda spada, e dal 1210 ad oggi si considera sacra una spada molto antica che era custodita al santuario di Ise. Assieme al Senso si proclama il nome della nuova era (nengo o gengo). Lo svolgimento degli ultimi 3 Senso (Meiji 1868- Taisho 1912- Showa 1925) si sono differenziati tra di loro, pur seguendo una medesima traccia il rito varia in ogni edizione.

Il Sokurei in terminologia occidentale sarebbe “l?incoronazione”, in giapponese il “Perfezionamento della dignità”, ed è il termine che indica un insieme di liturgie e cerimonie da compiersi in un solo giorno, dopo che si è concluso il periodo di lutto per il Tenno precedente. Fino all'ascensione del Tenno Meiji (1867) il Sokurei ebbe spiccate caratteristiche buddiste. Il Tenno era consacrato con la cerimonia chiamata Sokui Kanjo (perfezionamento- battesimo), in pratica il Tenno diventava un alto prelato buddista. Dalla restaurazione Meiji si eliminarono le influenze buddiste, lasciando un rito solamente shintoista. Anche la cerimonia del Sokurei può variare, nel 1868 fu privata e riguardò la corte imperiale, nel 1990 ci fu una cerimonia pubblica a cui parteciparono i rappresentanti di 150 nazioni. Parallelamente è cresciuta l'importanza del trono (Takamikura), un baldacchino, che inizialmente era un mobile di modesta fattura, privo di una sua mistica particolare. Durante il Sokurei Showa del 1928 il Tenno Hirohito era ancora una divinità, ma in quello del 1990 del Tenno Akihito era diventato un semplice essere umano, cosa che provocò numerosi problemi di cerimoniale ed istituzionali. La cerimonia si celebrò a Tokyo (nel palazzo imperiale) e non più a Kyoto, come da tradizione. Molti cerimoniale dovettero essere modificati perchè il Tenno non era più superiore al primo ministro, anzi, in qualità d rappresentante del popolo, nel primo ministro risiedeva la vera autorità, e il Tenno era solo un simbolo di questa autorità del popolo, quindi un sottoposto. Il Sokurei prevede inizialmente una serie di riti shintoisti e poi il rito civile pubblico di presentazione del Tenno. In base alla costituzione, che prevede una netta divisione tra religione e Stato, ai riti shintoisti avrebbero dovuto partecipare solo i membri imperiali della corte. Invece erano presenti il primo ministro, i presidente delle 2 camere, il presidente della corte suprema, più 49 alti personaggi pubblici. Infatti i rappresentati dei partiti di destra e conservatori furono molto contenti per questa vittoria, la stampa si dilungò molto su queste polemiche per il mancato rispetto dello spirito della costituzione. Durante la cerimonia pubblica/civile il Tenno Akihito fece un discorso di insediamento, a cui rispose il primo ministro con un secondo discorso di ringraziamento. Il primo ministro Kaifu Toshiki utilizzò il verbo “aogu” per dire “ noi onoriamo il Tenno”, fu fatto notare che il verbo “aogu” sconfina facilmente da “onorare” ad “adorare”. Infine Kaifu Toshiki mossi i 3 passi indietro, sollevò le braccia e gridò i 3 fatidici “Banzai” (10000 anni di vita). L'aver gridato “Banzai”, con tutto quello che aveva implicato nel passato, scatenò altre polemiche.

Il Daijosai è l'ultimo dei 3 riti, ed è il più singolare e misterioso, significa letteralmente “La festa della grane degustazione”, cioè la consacrazione del Tenno. Il Daijosai è quello che più spesso è stato omesso, sui 125 sovrani giapponesi (leggendari e storici) solo 75 lo hanno compiuto. Il fatto che per lunghi periodi non fu celebrato (principalmente per motivi dovuti alla povertà della corte imperiale) ha causato una perdita di alcune cerimonie, visto che le tradizioni erano tramandate a voce, scrivere il cerimoniale del Daijosai sarebbe stato sacrilego. Gli edifici costruiti per il Daijosai non devono contenere nessuna parte, anche minima, di metallo. I recipienti per la cerimonia sono rozzi. Le bacchette per afferrare il cibo non sono i 2 bastoncini separati, ma una fettuccia di bambù ripiegata su se stessa a pinza. I fuochi devono essere accesi solo per sfregamento di legni.
Sono 4 le fasi del Daijosai: i preparativi pubblici, che iniziano a primavera e finiscono a novembre; i preparativi (un tempo segreti) del Tenno per il momento culminante del Daijosai; il rito vero e proprio del Daijosai, da farsi nella notte tra il giorno della lepre di mezzo e il giorno del drago; le cerimonie conclusive, con i successivi banchetti celebrativi.
Sulla base della costituzione il Daijosai non era previsto, anzi, proibito, visto l'obbligo di separazione tra Stato e religione. Ma nel 1990 i tempi erano cambiati e, nonostante le proteste di alcuni gruppi che chiedevano il rispetto della costituzione, il rito fu compiuto sfarzosamente e con un alto contributo economico statale.
Tra i preparativi pubblici del Daijosai si possono elencare brevemente alcuni atti: l'individuazione delle 2 risaie sacre Yukie Suki; la costruzione di centinaia di scettri shaku; la tessitura della canapa per il aratae (il “panno ruvido”); la tessitura della seta per il nigitae (il “panno gentile”); la costruzione ex novo di un villaggio-santuario (che ospiterà il Daijosai) formato da 39 edifici di legno, che alla fine del rito verrà distrutto, tutta questa parte del rito si chiama Daijogu.
Il Daijogu è formato a sua volta da altri numerosi riti e cerimonie, e regolato da regole ferree. Dopo il completamento del Daijogu, e poco prima dell'effettivo Daijosai, si compie il rito del Chinkonsai (“Rito di pacificazione dell'anima”), durante il quale lo “spirito oscuro” del Tenno viene pacificato. Al rito non partecipa il Tenno, ma è compiuto sui suoi abiti ed alcuni oggetti.
Il giorno del Daijosai è un susseguirsi di riti e cerimonie ben codificate a cui partecipa anche la Kogo Heika (la sposa del Tenno), che si svolgono nel villaggio Daijogu. I riti e le cerimonie culminano nelle offerte di cibo ai kami e al rito vero e proprio del Daijosai, compiuto solo dal Tenno. Il Tenno entra in “comunione” coi kami e gli dei ancestrali, ma i riti specifici sono segreti. Secondo alcuni studiosi giapponesi (e non) durante il rito centrale e segreto del Daijosai lo spirito del Tenno precedente (e quindi di quelli passati fino alla dea Amaterasu) si trasferisce a quello attuale, il Tenno-Rei.
Il rito religioso del Daijosai, durante il quale il Tenno diventa un dio, ebbe la forte opposizione dei comunisti, dei socialisti e del komeito (più defilato). La motivazione era sempre che il Daijosai andava contro la costituzione. Inoltre il governo vi partecipò attivamente, sia come presenza che come sovvenzione economica. Da notare che dei 900 burocrati e personaggi politici che furono invitati a fare atto di presenza al Daijosai ne erano presenti 733, quindi 167 rifiutarono (tolti gli indisposti) l'invito. I gruppi religiosi cristiani presentarono una petizione di 190000 firme di loro fedeli che protestavano per la collusione tra Stato e fede, vietata dalla costituzione. I cattolici tennero un basso profilo, un rappresentante del vaticano era presente al Sokurei. Anche i rappresentanti dei burakumin protestarono vivamente. Un altro fattore che creò forti malumori furono i costi a carico dei contribuenti, tutte le cerimonie per il cambio dinastico costarono circa 220 miliardi di lire del periodo (22 miliardi di yen), 98 miliardi di lire per le esequie di Hirohito e 123 miliardi di lire per le 61 cerimonie per Akihito. Di contro ci furono anche le proteste dei conservatori, dei partiti di destra e dei neo nazionalisti, contro la costituzione che aveva svilito la figura del Tenno mettendola sullo stesso piano di un primo ministro. Nei giorni dei riti del 12 e 13 novembre si ebbero 35 incidenti, lanci di bombe, spari di missili rudimentali ed incendi dolosi. Morirono un poliziotto (dilaniato da una bomba) e una donna (in un incendio causato dai terroristi). La gran parte dei disordini fu rivendicata dal Chukakuha (Fazione del nucleo centrale), un'organizzazione di estrema sinistra. Le azione erano più dimostrative che pericolo, anche se alcune degenerarono, una prova ne è l'attentato alla linea ferroviaria del 27 novembre, sulla cui tratta sarebbe dovuto passare li treno con sopra il Tenno, fu compiuto 6 ore prima del passaggio del convoglio.
[Modificato da La Visione 28/04/2010 23:59]
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30/05/2010 14:00



TITOLO: Hokuto no Ken, Ken il guerriero, volume 3 della collana “Japan Files”
AUTORE: Andrea Destro
CASA EDITRICE: Iacobelli
PAGINE: 126
COSTO: 12,5€
ANNO: 2010
FORMATO: 21cm X 15cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di Milano

Questa monografia di Andrea Destro sull'universo di Ken il guerriero, ma non solo, prende in esame tutte le edizioni sia di manga che di anime. Minore, invece, è l'analisi dei contenuti della serie o dei personaggi. L'opera è di carattere prettamente informativo riguardo le produzioni.
Dopo la spiegazione dell'ambientazione della storia vengono valutate le opere che hanno influenzato la creazione di Ken. Una è risaputa, i film di Mad Max con Mel Gibson. L'altra riguarda i 2 personaggi hollywoodiani a cui si rifà Kenshiro, Bruce Lee e Silvester Stallone. La terza potrebbe lasciare far storcere il naso a molti, Conan il ragazzo del futuro, entrambi ambientati in un futuro post apocalittico, ma con tematiche differenti (a detta dello stesso autore del libro), quindi dove starebbe l'influenza?!
Come al solito la collana “Japan Files”, ma anche la precedente “I love anime”, si dimostra abbastanza dispersiva, utilizzando le pagine in maniera non proficua. In questo numero su Ken il guerriero ci sono 13 (!) pagine con l'elenco degli episodi della serie tv, 4 pagine con i testi di 4 sigle (una italiana e 3 giapponesi), 17 pagine di inutili immagini a colori...
Segue una breve descrizione dei personaggi principali, ma non sempre affiancata dalla relativa immagine, quindi il non fan di Ken (come me) non riesce a collegare la descrizione con il personaggio.
E' presente l descrizione di tutti i film, compreso il film live, e degli OAV.
Viene dato conto, con descrizione, di tutte le scuole di arti marziali, principali e secondarie della serie classica.
Si passa alla spiegazione delle serie ambientata nel 1930 a Shangai, Souten no Ken, sia anime che manga, con descrizione dei personaggi, con poche immagini relative al personaggio (stesso problema evidenziato sopra), delle sigle e scuole di arti marziali.
C'è una brevissima biografia dei 2 autori.
Quindi si passa a tutti (credo) gli Hokuto no Ken Gaiden, Raul (manga e anime), Julia (manga), Rei (manga), Toki (manga), Jagger (manga), Ryuken (manga), Juza (manga).
Per finire c'è una enciclopedia delle principali tecniche della divina scuola di Hokuto, con relativo termine in giapponese e italiano.
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06/06/2010 23:02



TITOLO: Il problema dell'unicità giapponese, Nitobe Inazo e Okakura Kakuzo
AUTORE: Flavia Monceri
CASA EDITRICE: Edizioni ETS
PAGINE: 116
COSTO: 12,5€
ANNO: 2000
FORMATO: 22 cm X 14 cm
REPERIBILITA': Reperibile su internet

Premessa.
Spero di aver compreso il senso del libro, cosa non facile per il suo contenuto e le mie conoscenze relative.

Dopo l'occidentalizzazione forzata, verso il 1890, gli intellettuali giapponesi sembrano rendersi conto che la modernizzazione del paese rischia di far perdere l'identità nipponica, sia alla società che ai sudditi imperiali.
Flavia Monceri analizza gli scritti (in inglese) di due intellettuali del Giappone tardo-Meiji, Nitobe Inazo (1862-1933) e Okakura Kakuzo (1863-1913) , che ricrearono un'identità culturale nipponica, oltre a gettare, tra l'altro, le basi per la “missione giapponese” in Asia.
I due autori nipponici crearono la base della “cultura” giapponese per gli occidentali, cioè per comprendere agli occidentali che anche il Giappone era dotato di una cultura autoctona.
Quindi i due intellettuali giapponesi recuperarono, all'interno della tradizione nipponica, gli elementi della loro “unicità” culturale esistenti prima dell'arrivo degli occidentali.
Secondo Nitobe è il bushido l'elemnto “culturale” tradizionale giapponese, incentrato sulla morale confuciana. Mentre Okakura lo individua nella cerimonia del tè (chanoyu) e nei suoi legami con il buddismo zen.
L'autrice analizza i seguenti scritti:
Bushido e cristianesimo in Nitobe Inazo;
Okakuro Kazuko: l'oriente in una tazza di tè.
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10/06/2010 00:40



TITOLO: Lo shintoismo
AUTORE: Stefano Vecchia
CASA EDITRICE: Xenia Tascabili
PAGINE: 123
COSTO: 6,5 €
ANNO: 2007
FORMATO: 19 cm X 13 cm
REPERIBILITA': Ancora presente nelle librerie di Milano

Lo shintoismo è la religione ancestrale del Giappone, non possiede dogmi, profeti, messia, testi sacri. Nonostante lo shintoismo sia venuto a contatto con altre religioni (buddismo, confucianesimo, cristianesimo) e la sua esistenza possa essere stata messa a rischio, alla fine è sopravvissuto sempre, e ancora oggi è il culto in cui gran parte della popolazione giapponese si riconosce. A differenza dei paesi dove la mitologia originale (la greca e la romana) è ormai solo materia di studio, in Giappone lo shinto e i suoi kami sono ancora “vivi” e “presenti”. Sarebbe come se noi occidentali credessimo ancora in Giove e Venere, i giapponesi credono (in che misura è arduo a dirsi) ancora ai loro Giove e Venere.

Lo scritto di Stefano Vecchia è diviso in 15 capitoli.

1 – Le fonti
Viene dato conto da quali testi la mitologia dello shinto è arrivata fino a noi, con le relative manipolazioni politiche/storiche di cui furono oggetto tali libri come il Kojiki, il Nihongi e l'Engi Shiki.

2 – I miti
E' riportato il racconto del mito della creazione del Giappone.

3 – I kami
Copio dal libro una breve descrizione di cosa sono i kami.
I kami non sono divini come gli esseri supremi trascendenti e onnipotenti di altre fedi. I kami sono imperfetti, a volte sbagliano o si comportano in modo palesemente scorretto. I kami non sono intrinsecamente differenti dagli uomini o dagli altri essere viventi, sono soltanto una manifestazione superiore dell'energia vitale, una versione più evoluta e perfezionata. I kami non vivono in un universo sovrannaturale, ma condividono con gli uomini e la natura la stessa realtà.
Nella categoria kami non si trovano solo gli esseri creatori dell'universo, ma anche: spiriti che vivono negli esseri viventi; alcuni esseri viventi stessi; elementi ambientali; forze della natura come tempeste o terremoti; ujigami, ovvero gli antenati dei clan; personaggi eccezionali, inclusi tutti gli imperatori, tranne Hirohito.
Inoltre i kami non sono onnipotenti; hanno caratteristiche umane, rabbia, indignazione, allegria sono tutt'altro che estranee alla loro natura; i kami amano passatempi anche licenziosi.

4 – La magia delle origini
Lo shintoismo nasce in un mondo dove la natura non è nemica, ma neppure domata, quindi in parte ostile. Coi riti magici si cercava di esorcizzare i pericoli della natura.

5 – Lo stretto rapporto con la natura
In passato la natura era ovunque, e i kami potevano manifestarsi liberamente (nel bene e nel male). Oggi, nei centri urbani, la natura è relegata quasi esclusivamente nei santuari.

6 – La morte e l'aldilà
Per lo shinto esiste un aldilà, il Tokoyo, “il paese del non cambiamento”. Tutti i defunti diventeranno kami, sia le persone buone che le cattive, diverranno kami benefici o malvagi. Ma gli spiriti dei defunti necessitano ancora dei vivi, per gli omaggi, le offerte, il rispetto e la venerazione dei discendenti. Quello che è chiamato “il culto degli antenati”.

7 – Immanenza e trascendenza
Verso le religioni il Giappone ha sempre avuto un approccio pragmatico, ha preso ciò che riteneva utile, però giapponesizzandole. In Giappone senso religioso e religione sono due fatti distinti. I giapponesi non sono interessati ad una religione dogmatica, ma partecipano comunque a numerose manifestazioni religiose, di religioni differenti. Lo shintoismo sottolinea l'importanza di 4 aspetti, che non hanno la valenza dei comandamenti: Tradizione e famiglia; amore per la natura; purificazione; i matsuri.

8 – Sincretismo e politica
In questo capitolo (ma anche in altri punti del libro) Stefano Vecchia tende, a mio avviso, a sminuire certi aspetti di come lo shinto fu inculcato al popolo nel periodo (e anche dopo) della restaurazione Meiji.
Lo shintoismo ha 3 caratteristiche: è nazionalista; è animista; è spiritualista. Ancora oggi per i giapponesi il culto dell'imperatore resta al centro delle tradizioni shintoiste. Lo shintoismo odierno ha 80000 templi e 145 scuole, e fa riferimento a quattro forme o tradizioni: Shinto della casa imperiale (Koshitsu Shinto); Shinto dei sacrari (Jinja Shinto); Shinto delle sette (Kyoha Shinto); Shinto popolare (Minzoku Shinto).

9 – I luoghi di culto
In questo capitolo è presente una descrizione dettagliata (e breve) dei sacrari shintoisti (jinja), di come sono costruiti, costituiti, di come si svolge la purificazione, la preghiera e l'offerta.

10 – Simboli di una fede antica
I simboli nello shintoismo hanno sovente più significati, come per gli ideogrammi. I 3 simboli più importanti sono i 3 tesori imperiali: lo specchio; la spada; i gioielli.

11 – Le cerimonie e le ricorrenze
La gran parte del culto shintoista è di carattere individuale, ci sono, però, alcune ricorrenze prescritte o consigliate. In previsione di viaggi o di esami scolastici è consigliata una visita ad un sacrario. Le ricorrenze sono il capodanno, il Bon (la ricorrenza dei defunti), i riti relativi al riso, i riti per il primo imperatore Jimmu e quelli per la dea Amaterasu. Le processioni dei matsuri si svolgono nel villaggi delle campagne e sono legati ai riti del riso.
L'origami (“carta degli spiriti”) è una delle possibili offerte ai sacrari shintoisti. La carta non è mai tagliata proprio per dimostrare rispetto verso lo spirito dell'albero che è stato sacrificato per creare la carta.

12 – Nuove religioni dalle radici antiche
L'assenza di un qualsivoglia dogma religioso ha permesso il proliferare di sempre nuove sette religiose, spesso collegate allo stesso shinto. In tutta la storia del Giappone le “nuove religioni” sono nate e scomparse, alcune sono sopravvissuti fino ad oggi, ma da dopo la fine della seconda guerra mondiale le “nuove religione” sono esplose di numero.

13 – Arti dedicate ai kami
Rispetto ad altre religioni le arti dedicate ai kami sono minori. Esse sono l'architettura dei templi, la musica (con alcuni strumenti nati allo scopo religioso), alcune forme di teatro, le poesie norito.

14 – Quale shintoismo per il futuro?
Lo shintoismo, non possedendo teologia o dogmi, pare essere la religione più debole in un periodo storico senza più certezze e pieno di preoccupazioni giornaliere e per il futuro, ma forse sarà questa sua non imposizione che le permetterà nuovamente di sopravvivere, come religione di pace e armonia con la natura.

15 – Ise, dimora divina
Nell'ultimo capitolo è presente la descrizione del sacrario di ise e delle sue cerimonie in onore della dea Amaterasu



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Indice per pagina della discussione:

Pagina 1

All’ombra del Fuji-Yama, l’anima degli anime
Anime, cartoni con l’anima
Anime al cinema, storia del cinema d’animazione giapponese dal 1917 al 1995
Anime d’Acciaio, guida al collezionismo di robot giapponesi
Anime, guida al cinema d’animazione contemporaneo
Anime in tv, storia degli anime prodotti per la televisione
Animeland, viaggio tra i cartoni made in Japan
Anime University, l’improbabile scienza dei cartoni animati giapponesi
A-Z Manga, guida al fumetto giapponese
Come bambole, il fumetto giapponese per ragazze
Con gli occhi a mandorla, sguardi sul Giappone dei cartoon e dei fumetti
Cosplay Culture, fenomenologia dei costume players italiani
Cuore e Acciaio, estetica dell’animazione giapponese

Pagina 2

Electric Geisha
FA guida all’animazione nipponica volume 1
FA 4, la grande enciclopedia dei Robot – parte prima anni ’70 e ’80
FA 5, la grande enciclopedia dei Robot – parte prima anni ’80 e ’90
FA 6, Science-Fiction
FA 7, Enter the Warrios
Giorni giapponesi
Kodzilla, il re dei Mostri
Hayao Miyazaki, il dio dell’anime
L’identità Segreta, Supereroi e dintorni
if , mangamania, 20 anni di Giappone in Italia, Cartoomics 1999
if, speciale orfani e robot 1963-1983, dicembre 1983
Il fumetto in Giappone dagli anni 70 al 2000
Nel Giappone delle donne
Il grande libro dei cartoni&tv, entra nel mondo degli anime

Pagina 3

I Robottoni, dalle corna di go Nagai
Italia più Giappone diviso due = ?
Japan underground
Jyose-e, le ragazze perdute del So Levante
La bambola e il robottone
La società giapponese
Le anime disegnate
L’incanto del mondo, il cinema di Miyazaki Hayao
Manga, 60 anni di fumetto giapponese
Manga, immagini dal Giappone contemporaneo
Mangart, forme estetiche e linguaggio del fumetto giapponese
Manga design
Mazinga Nostalgia, storia, valori e linguaggi della Goldrake-generation (prima edizione)
Mille anni di manga
Enciclopedia dei mostri giapponesi A-K

Pagina 4

Enciclopedia dei mostri giapponesi M-Z
Nipponcartoon, immagini, miti, strategie
Osamu Tezuka, l’arte del fumetto giapponese
Otaku, i giovani perduti del Sol Levante
Perché i giapponesi hanno gli occhi a mandorla
Robot, fenomenologia dei giganti di ferro giapponesi
Shonen Ai, il nuovo immaginario erotico femminile tra Oriente e Occidente
Sol Mutante
Storia del fumetto giapponese, primo volume dall’era Meiji agli anni ‘70
Storia del fumetto giapponese, secondo volume dagli anni ’70 alle ultime tendenze
Super #1 Robot, japanes robot toys 1972-1982
Super Robot Anime, eroi e robot da Mazinga Z a Evangelion
Ufo Robot Goldrake, storia di un eroe nell’Italia degli anni ottanta
Vite Animate, i manga e gli anime come esperienza di vita
Yattaman, Calendarman e le altre Time Bokan

Pagina 5

Candy Candy, redazione di studio cultura manga
Lady Oscar, collana Manga Classic n° 14
Lady Oscar. Speciale Strike n° 14 , parte finale
Lady Oscar, collana Manga Classic n°4
Lupin the 3rd Wanted!!, Catseye, supplemento Ukiyo n°5
Lupin the 3rd Wanted!!, Catseye, ultima parte, supplemento Ukiyo n°6
Il magico mondo di Miyazaki, speciale Strike n°2
Super Robot, Manga Classic n° 6
Super Robot, parte finale, Manga Classic n° 8
Anime Mie, i cartoni animati giapponesi più amati dal 1963 a 1993, collana Nostalgia

Pagina 6

Anime, storia dell’animazione giapponese 1984-2007
The art of emotion, il cinema d’animazione di Isao Takahata
Conoscere l’animazione, forme, linguaggi e pedagogie del cinema animato per ragazzi
Actarus, la vera storia di un pilota di robot
Il Giappone contemporaneo, politica e società
Il drago e la saetta, modelli, strategie dell’animazione giapponese
La mente giapponese
Gashapon Hunter

Pagina 7

FA guida all’animazione nipponica volume 2
Anatomia della dipendenza, un’interpretazione del comportamento sociale dei giapponesi
Il Giappone a colpo d’occhio, guida per viaggiatori curiosi
Il giapponese a fumetti, corso base di lingua giapponese attraverso i manga
Il giapponese a fumetti, esercizi 1
Underground, racconto a più voci dell’attentato alla metropolitana di Tokyo
Generazione Goldrake
Mazinga, da Mazinga Z a Mazinkaiser:l’epopea di un guerriero robot, volume 2 “I love anime”
Lady Oscar, amori segreti ed epiche battaglie, volume 3 “I love anime”

Pagina 8

I cavalieri dello zodiaco, espandi il tuo cosmo! Volume 1 “I love anime”
100% Cosplay, avvistato Goku in metropolitana
Mazinga nostalgia, storia valori e linguaggi della Goldrake-generation 1978-199 (TERZA ED.)
Hikikomori, adolescenti in volontaria reclusione
The Anime Encyclopedia, revised & expanded edition, a guide to japanese animation since 1917
Il fantasma tra i ciliegi, topografie di primavera a Tokyo
Jeeg Robot, cuore & acciaio, volume 4 “I love anime”

Pagina 9

Manga Academica vol. 1, rivista di studi sul fumetto e sul cinema di animazione giapponese
Oshii Mamoru, le affinità sotto il guscio
Jiro Taniguchi, il gentiluomo dei manga
Candy Candy, “eravamo tutte innamorate di Terence...” volume 5 “I love anime”
Il ritratto dell'Imperatore
Non voglio più vivere alla luce del sole, il disgusto per il mondo esterno di una nuova generazione perduta
Capitan Harlock, avventure ai confini dell'universo, volume 6 “I love anime”
Goldrake, il primo robot non si scorda mai, volume 7 “I love anime”

Pagina 10

Hayao Miyazaki, le insospettabili contraddizioni di un cantastorie
Carta e ossa, dalle pagine di un fumetto ai fotogrammi di una pellicola
Satoshi Kon, il cinema attraverso lo specchio

Pagina 11

Il dizionario dei cartoni animati
Heidi, la bambina delle alpi, volume 8 “I love anime”
Perdendo il Giappone, identità occidentale nella letteratura contemporanea nipponica
L'esercito dell'Imperatore, storia dei crimini di guerra giapponesi dal 1937-1945
Sailormoon, la bella ragazza guerriera, volume 9 “I love anime”
Mass media e consenso nel Giappone prebellico

Pagina 12

Quando ho scoperto il Giappone, note e impressioni di un viaggio
I cavalieri del Bushido, storia dei crimini di guerra giapponesi
Lo stupro di Nanchino, l'olocausto dimenticato della II guerra mondiale
Storia del Giappone contemporaneo
Il crisantemo e la spada, modelli di cultura giapponese
La paura in Giappone
Storia del Giappone
Samurai, ascesa e declino di una grande casta di guerrieri
Kokoro, il cuore della vita giapponese
Hirohito
La morte volontaria in Giappone

Pagina 13

Interno giapponese, tracce di un dialogo tra Oriente e Occidente
Il fascismo giapponese
I giorni dell'apocalisse, 6 – 9 agosto 1945
Itinerari del sacro, l'esperienza religiosa giapponese

Pagina 14

Trider G7, robot in tempo di crisi, volume 10 della collana “I love anime”
Un geek in Giappone, diario tecnologico di un europeo nel paese del sol levante
Fumetto On Line, guida ai migliori siti internet, personaggi, autori, storia, informazioni
Mondo manga segreto, dal sol levante all'Italia
Manga Academica vol. 2, rivista di studi sul fumetto e sul cinema di animazione giapponese
Quando i giapponesi fanno ding, altre curiosità dal sol levante
Power+Up, come i videogiochi giapponesi hanno dato al mondo una vita extra
Goldrake, antologia di racconti robotici (incluso CD-ROM)
Kyoko mon amour, vent'anni di manga giovanile
Leggero il passo sui tatami
Anche i giapponesi nel loro piccolo s'ìncazzano, nuove curiosità dal sol levante
Ventura e sventura dei gesuiti in Giappone (1549-1639)
Giappone perduto, viaggio di un italiano nell'ultimo Giappone feudale
Il mondo dei manga, introduzione al fumetto giapponese
Card Captor Sakura e Hime, Strike n° 13

Pagina 15

Sailor Moon, new manga pocket
Evangelion, new manga pocket
Mobil Suit Gundam, trent'anni nello spazio, volume 1 della collana “Japan Files”
Gli Spietati di Takao Saito, Golgo 13. Schegge 3 – Saggistica tascabile
Le follie di Nantokanarudesho! Schegge 4 – Saggistica tascabile
Robots, Tin Toy Dream, T, Kitahara Collection
Eureka, speciale Giappone
Otaku World, il mondo dei manga e degli anime
Gli ultimi pagani, appunti di viaggio di un etnologo
Death Note, uno studente modello e il dio della morte, volume 2 della collana “Japan Files”
Da Goldrake a Dragonball, viaggio tra i fumetti e i disegni animati giapponesi
Il mito dell'omogeneità giapponese, storia di Okinawa
L'agape celeste, i riti di consacrazione del sovrano giapponese
Hokuto no Ken, Ken il guerriero, volume 3 della collana “Japan Files”
Il problema dell'unicità giapponese, Nitobe Inazo e Okakura Kakuzo

Pagina 16
Lo shintoismo
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18/07/2010 20:03







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