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OUTLANDERS -

Ultimo Aggiornamento: 08/08/2006 13:19
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SEGUACE DI OXIDO
02/04/2006 21:00

OUTLANDERS - Johnji MANABE

Articolo tratto da Mangazine #16, Agosto 1992


Tutto cominciò nel tardo 1984 quando, con un fumetto di poche pagine, un giovane disegnatore vinse un concorso indetto fra I lettori della rivista “Comiconi”. Da quel momento in poi Johnji Manabe dovette abbandonare la scuola di desing (cui era iscritto con la speranza di diventare animatore) perchè comincio a scrivere dapprima piccoli racconti e poi l’immensa saga (composta da circa 1300 tavole) che lo avrebbe imposto come autore e disegnatore di fama internazionale: Outlanders.
A seguito del travolgente successo di Outlanders, Manabe si traferi a Tokyo, dove apri uno studio (lo studio katsudon) per dedicarsi interamente al fumetto.
L’edizione originale di Outlanders fu pubblicata a partire dal 1984 dalla stessa “Comicomi” (rivista che aveva per target un pubblico maschile fra i 14 ed i 16 anni); in seguito fu raccolta in 8 volumetti e poi in due colossali trade paperback di quasi 700 pagine l’uno in cui alcune tavole sono state aggiunte o corrette.
La versione americana, ottimamente curata dallo Studio Proteus ed edita dalla Dark Horse, è stata pubblicata (a partire da Dicembre 1988) in trentatre fascicoli di circa 35 pagine l’uno.
Stampa ottima, qualità della carta decisamente superiore alla media e soprattutto niente pubblicità (che di solito occupa una robusta percentuale di pagine in un fumetto americano) … sarebbe stata un edizione perfetta se non si fosse macchiata della colpa di uscire troppo di rado ( e spesso anche con ritardi notevoli sulle date annunciate).
Troppe poche pagine per un fumetto nato per esser letto a blocchi di vento tavole al mese: il ritmo della storia risentiva in maniera notevole dell’eccessiva frammentazione.
A quanto mi risulta sono state pubblicate ( in giappone) anceh cinque storie collaterali, ma non di tutte esiste un edizione americana: the Key of Glaciale, Holiday, Frontier, Passengers, the Unknown Bird e infine Our Happy Little Workshop, un gioiellino (comparso anche nel numero 21 dell’edizione Inglese) di umorismo di Masahiko Yamashita, uno degli inchiostratori di Outlanders, che narra le tragicomiche e autobiografiche disavventure di poveri disegnatori impegnati a rispettare i tempi di consegna.
Creare cento pagine di manga al mese puo nuocere graverete alla salute e qui vi viene mostrato come.

Nelle prime tavole si sente fortemente il peso delle direttive editoriali secondo cui Outlanders doveva essere una storia d’azione piena di mostri sangue e distruzione.
Vi troviamo scene molto crude e un impostazione della figura umana che, pur risentendo pesantemente dell’influenza della Takahashi, rimane in qualche modo fredda e nervosa. E’ possibile pure notare (soprattutto facendo un confronto con i suoi lavori posteriori) una certa inesperienza dell’autore che, impegnato nel suo primo lavoro “importante”, impiega un certo numero di tavole a “farsi le ossa”. Come lo stesso Manabe confessa:
“Outlanders è stato il manga che ha segnato il mio debutto. Mi sono fatto strada in un mondo dove non sapevo assolutamente come muovermi. All’inizio non riuscivo a disegnare in maniera neppure paragonabile a come avrei voluto”.
Ravola dopo tavola Manabe comincia a prendere confidenza e le cose cambiano.
“ho sudato sangue cercando di collegare tutti capi della trama. Ma, dopo poco, i personaggi hanno gentilmente cominciato a prendere in mano la situazione e ascrivere da soli. Il lavoro e diventato più facile verso la seconda metà della serie, potevo dire a Kahm (la principessa aliena protagonista, nda) e ai suoi compagni : “Forza, fate quello che volete”.
Spinto dal successo trionfale tributatogli dal pubblico giapponese (che ha definito Outlanders come una delel più avvincenti saghe galattiche mai uscite dalla penna di qualsiasi disegnatore), Manabe si conquista un ‘autonomia sempre maggiore e l’atmosfera della storia cambia a tal punto che, in occasione dell’edizione americana, sarà lo stesso autore a chiedere (e ottenere) di poter ritoccare alcune delle prime tavole perché troppo “splatter” e non in tono con il resto della storia.
Anche se in un primo momento sembra destinato a diventare un emulo della Takahashi (a cui comunque deve molto), sviluppa ben presto uno stile tutto suo, in cui riesce ad accostre una risata a un avvenimento tragico , pur non perdendo il climax dell’azione.
Sotto questo aspetto , Manabe assomiglia molto a Peter David, il geniale sceneggiatore americano che curò “Hulk” e “X-factor” (nel 1992 ovviamente) per la Marvel.
Outlanders è un fumetto molto “topico”, nel senso che ripercorre, uno dopo l’altro, tutti i topoi (luoghi canonici) del fumetto made in Japan.
In esso troviamo l’immancabile coppia di giovani innamorati, la lotta disperata di un manipolo di eroi contro forze soverchianti (tema ricorrente basti pensare a Baoh, Xenon, Ken…), un esercito di alieni, i Santovasku, che reclamano la terra come loro mondo di origine (Go Nagai docet) e che vogliono ripulire il pianeta dai suoi attuali inquilini, cominciando CASULAMENTE dal Giappone. Il tutto condito con un‘abbondante spruzzata di scene d’azione e qualche pianeta che esplode più o meno allegramente.
In ultima analisi la trama di Outlanders risulta quasi banale e simile a migliaia di altre storia prodotte dai prolifici autori nipponici.

Trama
Scesa sul pianeta per liberarlo dalla fastidiosa presenza di qualche terrestre, Kahm (principessa erede al trono dell’impero galattico dei Santovasku) si imbatte per caso nell’imbelle terrestre di turno, il fotografo Tetsuya Wakatsuki.
Dopo aver tentato di ucciderlo, la principessa finirà dapprima per sequestralo e portarlo a bordo della propria astronave, poi per innamorarsene e infine per spalleggiare la causa degli attuali abitanti del pianeta di fronte al padre.
Questi pero…

Outlanders è grande perché tutto il racconto non ruota esclusivamente attorno ai due protagonisti e alle loro vicende. Esistono molte sottotrame che si intrecciano attorno a quella principale, e un sacco di geniali personaggi secondari che aggiungono all’opera un ulteriore spessore. Ed è forse il numero così elevato di pagine (improponibile in un fumetto occidentale) che ha fatto la differenza; inun racconto di queste dimensioni anche i personaggi marginali hanno avuto spazio per crescere e acquistare una caratterizzazione di una certa complessità.
Lo stesso Manabe afferma che i suoi fumetti parlano soprattutto di “Beautiful girls with swords” (magnifiche ragazze armate di spade); il personaggio principale della maggioranza dei suoi lavori
(Gli dei del cielo per la serie Sorcerian, Drakunn, Capricorn e lo stesso Outlanders) è una stupenda ragazza, spesso aliena e ancora più spesso pesantemente armata, dal carattere ribelle e iracondo. Costei finisce “fatalmente” per assomigliare a Key delle Dirty Pair, personaggio di cui Manabe si professa fan sfegatato.
Non è questo il solo personaggio ricorrente nell’opera di Manabe: egli ha un indubbio, quanto morboso, attaccamento ad alcuni personaggi che, cambiati solo marginalmente, ritroviamo in ogni sua opera.
Ma come fargliene una colpa?
Lo stesso Miyazaki, uno dei nomi più illustri dell’animazione giapponese, è così affezionato ad alcuni suoi personaggi che li ha riciclati praticamente in ogni suo film; ai non giapponesofili ricordiamo che lo stesso Manzoni confessò, in una lettera a un amico, che gli ultimi capitoli de I promessi sposi si trascinavano stancamente perché si era affezionato ai suoi personaggi e non voleva troncare la storia.
Una delle principali fonti di ispirazione del lavoro di Manabe rimane però la saga di Guerre Stellari. Elementi del film di Lucas possono essere trovati ovunque all’interno del racconto: nelle armature dei soldati alieni, in certe stazioni orbitanti che ricordano stranamente la Morte Nera ma soprattutto nell’atmosfera un po’ da saloon che regna all’interno di bar e di taverne, sempre affollate da una disordinata accozzaglia di esseri alieni.

[Modificato da simopaini 02/04/2006 21.02]



... e non ho niente da dire
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