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Ultimo Aggiornamento: 20/06/2006 22:03
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21/01/2006 17:11

per me è stato un libro formativo ...
il primo libro che ho letto ... il primo sul quale ho pianto,

(ho appena ricaricato la sigla ... potete vederla QUI ... è bellissima ... [SM=x53147] [SM=x53147] [SM=x53147] )



Il sonno della ragione genera mostri....... In cima ad ogni vetta si è sull'orlo dell'abisso....... La poesia è come un'idea non cerca verità, la crea.......
21/01/2006 17:35

Re:

Scritto da: vagaBIONDO reloaded 21/01/2006 17.00
non mi è mai piaciuto quel libro



per ovviare al problema potrei incidere la mia voce mentre leggo il libro su un nastro e mandartelo......... :ransie
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21/01/2006 17:42

Re:

Scritto da: mizar! 21/01/2006 17.11
per me è stato un libro formativo ...
il primo libro che ho letto ... il primo sul quale ho pianto,

(ho appena ricaricato la sigla ... potete vederla QUI ... è bellissima ... [SM=x53147] [SM=x53147] [SM=x53147] )



guarda che io non riesco a vedere più nessuna sigla [SM=x53093]
MANIACO DELL'IMPERO

il mio angolo di cielo
è un triangolo di pelo

Biondo, una vita per la topa !!



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21/01/2006 17:42

Re: Re:

Scritto da: +blueyes+ 21/01/2006 17.35


per ovviare al problema potrei incidere la mia voce mentre leggo il libro su un nastro e mandartelo......... :ransie



magari.... [SM=x53143]
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21/01/2006 17:48

Re: Re:

Scritto da: vagaBIONDO reloaded 21/01/2006 17.42


guarda che io non riesco a vedere più nessuna sigla [SM=x53093]



inizio ot..
in questa sezione non si può, farò una piccola eccezione ...
sto sostituendole tutte ...
cuore è una di quelle già sostituite ...
poi ci sono quelle di goldrake e quella di anna dai capelli rossi e l'ape maya ... sto andando più o meno in ordine alfabetico ... prova a controllare quelle ...
fine ot ....



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21/01/2006 17:52

Re: Re:

Scritto da: vagaBIONDO reloaded 21/01/2006 17.42


guarda che io non riesco a vedere più nessuna sigla [SM=x53093]



Perchè non hai letto ---> QUI. [SM=x53113]
Lontano dall'Impero? MAI.
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Re: Re: Re:

Scritto da: mizar! 21/01/2006 17.48


inizio ot..
in questa sezione non si può, farò una piccola eccezione ...
sto sostituendole tutte ...
cuore è una di quelle già sostituite ...
poi ci sono quelle di goldrake e quella di anna dai capelli rossi e l'ape maya ... sto andando più o meno in ordine alfabetico ... prova a controllare quelle ...
fine ot ....



io cuore non la vedo
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Re: Re: Re:

Scritto da: djufo 21/01/2006 17.52


Perchè non hai letto ---> QUI. [SM=x53113]



e credevo indirizzasse direttamente alla videosigla, che non vedo. [SM=x53175]
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Re: Re: Re: Re:

Scritto da: vagaBIONDO reloaded 21/01/2006 17.58


e credevo indirizzasse direttamente alla videosigla, che non vedo. [SM=x53175]



Comunque Miz l'ha appena sostituita. Io la vedo. [SM=x53115]
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Re: Re: Re: Re: Re:

Scritto da: djufo 21/01/2006 17.59


Comunque Miz l'ha appena sostituita. Io la vedo. [SM=x53115]



non ne vedo manco una [SM=x53113]
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Re: Re: Re: Re: Re: Re:

Scritto da: vagaBIONDO reloaded 21/01/2006 18.03


non ne vedo manco una [SM=x53113]



Strano, non so che dire. [SM=x53119]
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21/01/2006 18:07

Tonì avevo il tuo stesso problema........
Prova a spostare in avanti il cursore, come per andare avanti con la sigla e aspetta qualche secondo..........
A me ha funzionato............ [SM=x53090]
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Re:

Scritto da: +blueyes+ 21/01/2006 18.07
Tonì avevo il tuo stesso problema........
Prova a spostare in avanti il cursore, come per andare avanti con la sigla e aspetta qualche secondo..........
A me ha funzionato............ [SM=x53090]



l'ho fatto, ma torna indietro come una molla e non parte il play
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21/01/2006 20:38

torniamo i.t.

il tamburino sardo ....

in questa storia, tutto l'invincibile orgoglio degli abitanti di una terra, che spesso dimenticata ha sempre considerato l'italia come la propria patria, ha sempre lottato per lei fin dagli albori ... ed anche adesso piange i suoi eroi in terra straniera ....
un ragazzo che è un simbolo di eroismo e di dedizione, che compie il suo dovere perchè molti siano salvati anche a costo della sua stessa vita .... e che nonostante tutto continua a preoccuparsi per ciò che gli accade intorno ...



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08/02/2006 23:15

L'infermiere di Tata
Racconto mensile

La mattina d'un giorno piovoso di marzo, un ragazzo vestito da campagnuolo, tutto inzuppato d'acqua e infangato, con un involto di panni sotto il braccio, si presentava al portinaio dell'Ospedale maggiore di Napoli e domandava di suo padre, presentando una lettera. Aveva un bel viso ovale d'un bruno pallido, gli occhi pensierosi e due grosse labbra semiaperte, che lasciavan vedere i denti bianchissimi. Veniva da un villaggio dei dintorni di Napoli. Suo padre, partito di casa l'anno addietro per andare a cercar lavoro in Francia, era tornato in Italia e sbarcato pochi dì prima a Napoli, dove, ammalatosi improvvisamente, aveva appena fatto in tempo a scrivere un rigo alla famiglia per annunziarle il suo arrivo e dirle che entrava all'ospedale. Sua moglie, desolata di quella notizia, non potendo moversi di casa perché aveva una bimba inferma e un'altra al seno, aveva mandato a Napoli il figliuolo maggiore, con qualche soldo, ad assistere suo padre, il suo Tata, come là si dice; il ragazzo aveva fatto dieci miglia di cammino.
Il portinaio, data un'occhiata alla lettera, chiamò un infermiere e gli disse che conducesse il ragazzo dal padre.
- Che padre? - domandò l'infermiere.
Il ragazzo, tremante per il timore d'una trista notizia, disse il nome.
L'infermiere non si rammentava quel nome.
- Un vecchio operaio venuto di fuori? - domandò.
- Operaio sì, - rispose il ragazzo, sempre più ansioso; non tanto vecchio. Venuto di fuori, sì.
- Entrato all'ospedale quando? - domandò l'infermiere.
Il ragazzo diede uno sguardo alla lettera. - Cinque giorni fa, credo.
L'infermiere stette un po' pensando; poi, come ricordandosi a un tratto: - Ah! - disse, - il quarto camerone, il letto in fondo.
- È malato molto? Come sta? - domandò affannosamente il ragazzo.
L'infermiere lo guardò, senza rispondere. Poi disse: - Vieni con me.
Salirono due branche di scale, andarono in fondo a un largo corridoio e si trovarono in faccia alla porta aperta d'un camerone, dove s'allungavano due file di letti. - Vieni, - ripeté l'infermiere, entrando. Il ragazzo si fece animo e lo seguitò, gettando sguardi paurosi a destra e a sinistra, sui visi bianchi e smunti dei malati, alcuni dei quali avevan gli occhi chiusi, e parevano morti, altri guardavan per aria con gli occhi grandi e fissi, come spaventati. Parecchi gemevano, come bambini. Il camerone era oscuro, l'aria impregnata d'un odore acuto di medicinali. Due suore di carità andavano attorno con delle boccette in mano.
Arrivato in fondo al camerone, l'infermiere si fermò al capezzale d'un letto, aperse le tendine e disse: - Ecco tuo padre.
Il ragazzo diede in uno scoppio di pianto, e lasciato cadere l'involto, abbandonò la testa sulla spalla del malato, afferrandogli con una mano il braccio che teneva disteso immobile sopra la coperta. Il malato non si scosse.
Il ragazzo si rialzò e guardò il padre, e ruppe in pianto un'altra volta. Allora il malato gli rivolse uno sguardo lungo e parve che lo riconoscesse. Ma le sue labbra non si muovevano. Povero Tata, quanto era mutato! Il figliuolo non l'avrebbe mai riconosciuto. Gli s'erano imbiancati i capelli, gli era cresciuta la barba, aveva il viso gonfio, d'un color rosso carico, con la pelle tesa e luccicante, gli occhi rimpiccioliti, le labbra ingrossate, la fisionomia tutta alterata: non aveva più di suo che la fronte e l'arco delle sopracciglia. Respirava con affanno. - Tata, tata mio! - disse il ragazzo. - Son io, non mi riconoscete? Sono Cicillo, il vostro Cicillo, venuto dal paese, che m'ha mandato la mamma. Guardatemi bene, non mi riconoscete? Ditemi una parola.
Ma il malato, dopo averlo guardato attentamente, chiuse gli occhi.
- Tata! Tata! che avete? Sono il vostro figliuolo, Cicillo vostro.
Il malato non si mosse più, e continuò a respirare affannosamente.
Allora, piangendo, il ragazzo prese una seggiola, sedette e stette aspettando, senza levar gli occhi dal viso di suo padre. - Un medico passerà bene a far la visita, - pensava. - Egli mi dirà qualche cosa. - E s'immerse ne' suoi pensieri tristi, ricordando tante cose del suo buon padre, il giorno della partenza, quando gli aveva dato l'ultimo addio sul bastimento, le speranze che aveva fondato la famiglia su quel suo viaggio, la desolazione di sua madre all'arrivo della lettera; e pensò alla morte, vide suo padre morto, sua madre vestita di nero, la famiglia nella miseria. E stette molto tempo così. Quando una mano leggiera gli toccò una spalla, ed ei si riscosse: era una monaca. - Che cos'ha mio padre? - le domandò subito. - È tuo padre? - disse la suora, dolcemente. - Sì, è mio padre, son venuto. Che cos'ha? - Coraggio, ragazzo, - rispose la suora; - ora verrà il medico. - E s'allontanò, senza dir altro.
Dopo mezz'ora, sentì il tocco d'una campanella, e vide entrare in fondo al camerone il medico, accompagnato da un assistente; la suora e un infermiere li seguivano. Cominciaron la visita, fermandosi a ogni letto. Quell'aspettazione pareva eterna al ragazzo, e ad ogni passo del medico gli cresceva l'affanno. Finalmente arrivò al letto vicino. Il medico era un vecchio alto e curvo, col viso grave. Prima ch'egli si staccasse dal letto vicino, il ragazzo si levò in piedi, e quando gli s'avvicinò, si mise a piangere.
Il medico lo guardò.
- È il figliuolo del malato - disse la suora; - è arrivato questa mattina dal suo paese.
Il medico gli posò una mano sulla spalla, poi si chinò sul malato, gli tastò il polso, gli toccò la fronte, e fece qualche domanda alla suora, la quale rispose: - nulla di nuovo. Rimase un po' pensieroso, poi disse: - Continuate come prima.
Allora il ragazzo si fece coraggio e domandò con voce di pianto: - Che cos'ha mio padre?
- Fatti animo, figliuolo, - rispose il medico, rimettendogli una mano sulla spalla. - Ha una risipola facciale. È grave, ma c'è ancora speranza. Assistilo. La tua presenza gli può far del bene.
- Ma non mi riconosce! - esclamò il ragazzo in tuono desolato.
- Ti riconoscerà... domani, forse. Speriamo bene, fatti coraggio.
Il ragazzo avrebbe voluto domandar altro; ma non osò. Il medico passò oltre. E allora egli cominciò la sua vita d'infermiere. Non potendo far altro accomodava le coperte al malato, gli toccava ogni tanto la mano, gli cacciava i moscerini, si chinava su di lui ad ogni gemito, e quando la suora portava da bere, le levava di mano il bicchiere o il cucchiaio, e lo porgeva in sua vece. Il malato lo guardava qualche volta; ma non dava segno di riconoscerlo. Senonché il suo sguardo si arrestava sempre più a lungo sopra di lui, specialmente quando si metteva agli occhi il fazzoletto. E così passò il primo giorno. La notte il ragazzo dormì sopra due seggiole, in un angolo del camerone, e la mattina riprese il suo ufficio pietoso. Quel giorno parve che gli occhi del malato rivelassero un principio di coscienza. Alla voce carezzevole del ragazzo pareva che un'espressione vaga di gratitudine gli brillasse un momento nelle pupille, e una volta mosse un poco le labbra come se volesse dir qualche cosa. Dopo ogni breve assopimento, riaprendo gli occhi, sembrava che cercasse il suo piccolo infermiere. Il medico, ripassato due volte, notò un poco di miglioramento. Verso sera, avvicinandogli il bicchiere alle labbra, il ragazzo credette di veder guizzare sulle sue labbra gonfie un leggerissimo sorriso. E allora cominciò a riconfortarsi, a sperare. E con la speranza d'essere inteso, almeno confusamente, gli parlava, gli parlava a lungo, della mamma, delle sorelle piccole, del ritorno a casa, e lo esortava a farsi animo, con parole calde e amorose. E benché dubitasse sovente di non esser capito, pure parlava, perché gli pareva che, anche non comprendendo, il malato ascoltasse con un certo piacere la sua voce, quell'intonazione insolita di affetto e di tristezza. E in quella maniera passò il secondo giorno, e il terzo, e il quarto, in una vicenda di miglioramenti leggieri e di peggioramenti improvvisi; e il ragazzo era così tutto assorto nelle sue cure, che appena sbocconcellava due volte al giorno un po' di pane e un po' di formaggio, che gli portava la suora, e non vedeva quasi quel che seguiva intorno a lui, i malati moribondi, l'accorrere improvviso delle suore di notte, i pianti e gli atti di desolazione dei visitatori che uscivano senza speranza, tutte quelle scene dolorose e lugubri della vita d'un ospedale, che in qualunque altra occasione l'avrebbero sbalordito e atterrito. Le ore, i giorni passavano, ed egli era sempre là col suo Tata, attento, premuroso, palpitante ad ogni suo sospiro e ad ogni suo sguardo, agitato senza riposo tra una speranza che gli allargava l'anima e uno sconforto che gli agghiacciava il cuore.
Il quinto giorno, improvvisamente, il malato peggiorò.
Il medico, interrogato, scrollò il capo, come per dire che era finita, e il ragazzo s'abbandonò sulla seggiola, rompendo in singhiozzi. Eppure una cosa lo consolava. Malgrado che peggiorasse, a lui sembrava che il malato andasse riacquistando lentamente un poco d'intelligenza. Egli guardava il ragazzo sempre più fissamente e con un'espressione crescente di dolcezza, non voleva più prender bevanda o medicina che da lui, e sempre più spesso faceva quel movimento forzato delle labbra, come se volesse pronunciare una parola; e lo faceva così spiccato qualche volta, che il figliuolo gli afferrava il braccio con violenza, sollevato da una speranza improvvisa, e gli diceva con accento quasi di gioia: - Coraggio, coraggio, Tata, guarirai, ce n'andremo, torneremo a casa con la mamma, ancora un po' di coraggio!
Erano le quattro della sera, e allora appunto il ragazzo s'era abbandonato a uno di quegli impeti di tenerezza e di speranza, quando di là dalla porta più vicina del camerone udì un rumore di passi, e poi una voce forte, due sole parole: - Arrivederci, suora! - che lo fecero balzare in piedi, con un grido strozzato nella gola. Nello stesso momento entrò nel camerone un uomo, con un grosso involto alla mano, seguito da una suora.
Il ragazzo gettò un grido acuto e rimase inchiodato al suo posto.
L'uomo si voltò, lo guardò un momento, gittò un grido anch'egli: - Cicillo! - e si slanciò verso di lui.
Il ragazzo cadde fra le braccia di suo padre, soffocato. Le suore, gl'infermieri, l'assistente accorsero, e rimasero lì, pieni di stupore.
Il ragazzo non poteva raccogliere la voce.
- Oh Cicillo mio! - esclamò il padre, dopo aver fissato uno sguardo attento sul malato, baciando e ribaciando il ragazzo. - Cicillo, figliuol mio, come va questo? T'hanno condotto al letto d'un altro. E io che mi disperavo di non vederti, dopo che mamma scrisse: l'ho mandato. Povero Cicillo! Da quanti giorni sei qui? Com'è andato questo imbroglio? Io me la son cavata con poco. Sto bene in gamba, sai! E la mamma? E Concettella? E 'u nennillo, come vanno? Io me n'esco dall'ospedale. Andiamo dunque. O signore Iddio! Chi l'avrebbe mai detto!
Il ragazzo stentò a spiccicar quattro parole per dar notizie della famiglia. - Oh come sono contento! - balbettò. - Come sono contento! Che brutti giorni ho passati! E non rifiniva di baciar suo padre.
Ma non si muoveva.
- Vieni dunque - gli disse il padre. - Arriveremo ancora a casa stasera. Andiamo. - E lo tirò a sé.
Il ragazzo si voltò a guardare il suo malato.
- Ma... vieni o non vieni? - gli domandò il padre, stupito.
Il ragazzo diede ancora uno sguardo al malato, il quale, in quel momento, aperse gli occhi e lo guardò fissamente.
Allora gli sgorgò dall'anima un torrente di parole. - No, Tata, aspetta... ecco... non posso. C'è quel vecchio. Da cinque giorni son qui. Mi guarda sempre. Credevo che fossi tu. Gli volevo bene. Mi guarda, io gli do da bere, mi vuol sempre accanto, ora sta molto male, abbi pazienza, non ho coraggio, non so, mi fa troppo pena, tornerò a casa domani, lasciami star qui un altro po', non va mica bene che lo lasci, vedi in che maniera mi guarda, io non so chi sia, ma mi vuole, morirebbe solo, lasciami star qui, caro Tata!
- Bravo, piccerello! - gridò l'assistente.
Il padre rimase perplesso, guardando il ragazzo; poi guardò il malato. - Chi è? - domandò.
- Un contadino come voi - rispose l'assistente, - venuto di fuori, entrato all'ospedale lo stesso giorno che c'entraste voi. Lo portaron qui ch'era fuor di senso, e non poté dir nulla. Forse ha una famiglia lontana, dei figliuoli. Crederà che sia un dei suoi, il vostro.
Il malato guardava sempre il ragazzo.
Il padre disse a Cicillo: - Resta.
- Non ha più da restar che per poco, - mormorò l'assistente.
- Resta -, ripeté il padre. - Tu hai cuore. Io vado subito a casa a levar di pena la mamma. Ecco uno scudo pei tuoi bisogni. Addio, bravo figliuolo mio. A rivederci.
Lo abbracciò, lo guardò fisso, lo ribaciò in fronte, e partì.
Il ragazzo tornò accanto al letto, e l'infermo parve racconsolato. E Cicillo ricominciò a far l'infermiere, non piangendo più, ma con la stessa premura, con la stessa pazienza di prima; ricominciò a dargli da bere, ad accomodargli le coperte, a carezzargli la mano, a parlargli dolcemente, per fargli coraggio. Lo assistette tutto quel giorno, lo assistette tutta la notte, gli restò ancora accanto il giorno seguente. Ma il malato s'andava sempre aggravando; il suo viso diventava color violaceo, il suo respiro ingrossava, gli cresceva l'agitazione, gli sfuggivan dalla bocca delle grida inarticolate, l'enfiagione si faceva mostruosa. Alla visita della sera, il medico disse che non avrebbe passata la notte. E allora Cicillo raddoppiò le sue cure e non lo perdette più d'occhio un minuto. E il malato lo guardava, lo guardava, e muoveva ancora le labbra, tratto tratto, con un grande sforzo, come se volesse dir qualche cosa, e un'espressione di dolcezza straordinaria passava a quando a quando nei suoi occhi, che sempre più si rimpiccolivano e s'andavano velando. E quella notte il ragazzo lo vegliò fin che vide biancheggiare alle finestre il primo barlume di giorno, e comparire la suora. La suora s'avvicinò al letto, diede un'occhiata al malato e andò via a rapidi passi. Pochi momenti dopo ricomparve col medico assistente e con un infermiere, che portava una lanterna.
- È all'ultimo momento, - disse il medico.
Il ragazzo afferrò la mano del malato. Questi aprì gli occhi, lo fissò, e li richiuse.
In quel punto parve al ragazzo di sentirsi stringere la mano.
- M'ha stretta la mano! - esclamò.
Il medico rimase un momento chino sul malato, poi s'alzò. La suora staccò un crocifisso dalla parte.
- E morto! - gridò il ragazzo.
- Va', figliuolo, - disse il medico. - La tua santa opera è compiuta. Va' e abbi fortuna, che la meriti. Dio ti proteggerà. Addio.
La suora che s'era allontanata un momento, tornò con un mazzettino di viole, tolte da un bicchiere sulla finestra, e lo porse al ragazzo, dicendo: - Non ho altro da darti. Tieni questo per memoria dell'ospedale.
- Grazie, - rispose il ragazzo, - pigliando il mazzetto con una mano e asciugandosi gli occhi con l'altra; - ma ho tanta strada da fare a piedi... lo sciuperei. - E sciolto il mazzolino sparpagliò le viole sul letto, dicendo: - Le lascio per ricordo al mio povero morto. Grazie, sorella. Grazie, signor dottore. - Poi, rivolgendosi al morto: - Addio... - E mentre cercava un nome da dargli, gli rivenne dal cuore alle labbra il dolce nome che gli aveva dato per cinque giorni: - Addio, povero Tata!
Detto questo, si mise sotto il braccio il suo involtino di panni, e a lenti passi, rotto dalla stanchezza, se n'andò. L'alba spuntava.

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12/02/2006 14:14

ecco un altro racconto legato alla quotidianità, ma questa volta non c'è l'amore familiare, che fa solo da sfondo, qui è qualcosa di meno profondo ma sentito nello steso identico modo, non c'è un legame di sangue ma un affetto immenso verso una persona per cui e con cui si è sofferto,
il momento più epico, il punto più alto della storia è per me, quando il padre guarda il figlio e vede quanto amore affetto ed amicizia può ancora regalare ad una persona che in quei giorni ha vissuto solo perchè un'anima candida si è presa cura di lui ...

le più grandi storie sono quelle in cui i protagonisti sono persone normali, con sentimenti normali (non persone comuni, nessuna di loro lo è), che non hanno paura di esprimerli ..... ecco perchè questo è un grade libro .....



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05/04/2006 21:42

Cuore!
Ancora ricordo mia madre quando presi per la prima volta in mano la sua copia ed ero piccolo,tanto piccolo!!!

Allora non sapevo di cosa parlasse, ma l'ho appreso più in là, a fondo.

Molti giudicano queto libro una cosa melensa e piena di buonismo: che male c'è in questo?
Forse che tocca solo leggere gli scritti dei poeti maledetti o di coloro che esaltano esclusivamente il menefreghismo contro tutti?

No, io non ci sto e continuerò a leggerlo ogni volta come fosse la prima volta sapendo quanto questo libro abbia avuto influssi positivi nella mia infanzia

A volta mi sento un pò Garrone... [SM=x53173]



[Modificato da ripley.bogans 05/04/2006 21.45]




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06/04/2006 12:11

Re:

Scritto da: ripley.bogans 05/04/2006 21.42
Cuore!
Ancora ricordo mia madre quando presi per la prima volta in mano la sua copia ed ero piccolo,tanto piccolo!!!

Allora non sapevo di cosa parlasse, ma l'ho appreso più in là, a fondo.

Molti giudicano queto libro una cosa melensa e piena di buonismo: che male c'è in questo?
Forse che tocca solo leggere gli scritti dei poeti maledetti o di coloro che esaltano esclusivamente il menefreghismo contro tutti?

No, io non ci sto e continuerò a leggerlo ogni volta come fosse la prima volta sapendo quanto questo libro abbia avuto influssi positivi nella mia infanzia

A volta mi sento un pò Garrone... [SM=x53173]



[Modificato da ripley.bogans 05/04/2006 21.45]




Bene, visto che qualcuno che ama questo libro c'è, continuo con i racconti [SM=x53170]


Sangue romagnolo
Racconto mensile

Quella sera la casa di Ferruccio era più quieta del solito. Il padre, che teneva una piccola bottega di merciaiolo, era andato a Forlì a far delle compere, e sua moglie l'aveva accompagnato con Luigina, una bimba, per portarla da un medico, che doveva operarle un occhio malato; e non dovevano ritornare che la mattina dopo. Mancava poco alla mezzanotte. La donna che veniva a far dei servizi di giorno se n'era andata sull'imbrunire. In casa non rimaneva che la nonna, paralitica delle gambe, e Ferruccio, un ragazzo di tredici anni. Era una casetta col solo piano terreno, posta sullo stradone, a un tiro di fucile da un villaggio, poco lontano da Forlì, città di Romagna; e non aveva accanto che una casa disabitata, rovinata due mesi innanzi da un incendio, sulla quale si vedeva ancora l'insegna d'un'osteria. Dietro la casetta c'era un piccolo orto circondato da una siepe, sul quale dava una porticina rustica; la porta della bottega, che serviva anche da porta di casa, s'apriva sullo stradone. Tutt'intorno si stendeva la campagna solitaria, vasti campi lavorati, piantati di gelsi.
Mancava poco alla mezzanotte, pioveva, tirava vento. Ferruccio e la nonna, ancora levati, stavano nella stanza da mangiare, tra la quale e l'orto c'era uno stanzino ingombro di mobili vecchi. Ferruccio non era rientrato in casa che alle undici, dopo una scappata di molte ore, e la nonna l'aveva aspettato a occhi aperti, piena d'ansietà, inchiodata sopra un largo seggiolone a bracciuoli, sul quale soleva passar tutta la giornata, e spesso anche l'intera notte, poiché un'oppressione di respiro non la lasciava star coricata.
Pioveva e il vento sbatteva la pioggia contro le vetrate: la notte era oscurissima. Ferruccio era rientrato stanco, infangato, con la giacchetta lacera, e col livido d'una sassata sulla fronte; aveva fatto la sassaiola coi compagni, eran venuti alle mani, secondo il solito; e per giunta aveva giocato e perduto tutti i suoi soldi, e lasciato il berretto in un fosso.
Benché la cucina non fosse rischiarata che da una piccola lucerna a olio, posta sull'angolo d'un tavolo, accanto al seggiolone, pure la povera nonna aveva visto subito in che stato miserando si trovava il nipote, e in parte aveva indovinato, in parte gli aveva fatto confessare le sue scapestrerie.
Essa amava con tutta l'anima quel ragazzo. Quando seppe ogni cosa, si mise a piangere.
- Ah! no, - disse poi, dopo un lungo silenzio; - tu non hai cuore per la tua povera nonna. Non hai cuore a profittare in codesto modo dell'assenza di tuo padre e di tua madre per darmi dei dolori. Tutto il giorno m'hai lasciata sola! Non hai avuto un po' di compassione. Bada, Ferruccio! Tu ti metti per una cattiva strada che ti condurrà a una triste fine. Ne ho visti degli altri cominciar come te e andar a finir male. Si comincia a scappar di casa, a attaccar lite cogli altri ragazzi, a perdere i soldi; poi, a poco a poco, dalle sassate si passa alle coltellate, dal gioco agli altri vizi, e dai vizi... al furto.
Ferruccio stava a ascoltare, ritto a tre passi di distanza, appoggiato a una dispensa, col mento sul petto, con le sopracciglia aggrottate, ancora tutto caldo dell'ira della rissa. Aveva una ciocca di bei capelli castagni a traverso alla fronte e gli occhi azzurri immobili.
- Dal gioco al furto, - ripeté la nonna, continuando a piangere. - Pensaci, Ferruccio. Pensa a quel malanno qui del paese, a quel Vito Mozzoni, che ora è in città a fare il vagabondo; che a ventiquattr'anni è stato due volte in prigione, e ha fatto morir di crepacuore quella povera donna di sua madre, che io conoscevo, e suo padre è fuggito in Svizzera per disperazione. Pensa a quel tristo soggetto, che tuo padre si vergogna di rendergli il saluto, sempre in giro con dei scellerati peggio di lui, fino al giorno che cascherà in galera. Ebbene, io l'ho conosciuto ragazzo, ha cominciato come te. Pensa che ridurrai tuo padre e tua madre a far la stessa fine dei suoi.
Ferruccio taceva. Egli non era mica tristo di cuore, tutt'altro; la sua scapestrataggine derivava piuttosto da sovrabbondanza di vita e d'audacia che da mal animo; e suo padre l'aveva avvezzato male appunto per questo, che ritenendolo capace, in fondo, dei sentimenti più belli, ed anche, messo a una prova, d'un'azione forte e generosa gli lasciava la briglia sul collo e aspettava che mettesse giudizio da sé. Buono era, piuttosto che tristo; ma caparbio, e difficile molto, anche quando aveva il cuore stretto dal pentimento, a lasciarsi sfuggire dalla bocca quelle buone parole che ci fanno perdonare: - Sì, ho torto, non lo farò più, te lo prometto, perdonami. - Aveva l'anima piena di tenerezza alle volte; ma l'orgoglio non la lasciava uscire.
- Ah Ferruccio! - continuò la nonna, vedendolo così muto.
- Non una parola di pentimento mi dici! Tu vedi in che stato mi trovo ridotta, che mi potrebbero sotterrare. Non dovresti aver cuore di farmi soffrire, di far piangere la mamma della tua mamma, così vecchia, vicina al suo ultimo giorno; la tua povera nonna, che t'ha sempre voluto tanto bene; che ti cullava per notti e notti intere quand'eri bimbo di pochi mesi, e che non mangiava per baloccarti, tu non lo sai! Io dicevo sempre:
- Questo sarà la mia consolazione! - E ora tu mi fai morire! Io darei volentieri questo po' di vita che mi resta, per vederti tornar buono, obbediente come a quei giorni... quando ti conducevo al Santuario, ti ricordi, Ferruccio? che mi empivi le tasche di sassolini e d'erbe, e io ti riportavo a casa in braccio, addormentato? Allora volevi bene alla tua povera nonna. E ora che sono paralitica e che avrei bisogno della tua affezione come dell'aria per respirare, perché non ho più altro al mondo, povera donna mezza morta che sono, Dio mio!...
Ferruccio stava per lanciarsi verso la nonna, vinto dalla commozione, quando gli parve di sentire un rumor leggiero, uno scricchiolìo nello stanzino accanto, quello che dava sull'orto. Ma non capì se fossero le imposte scosse dal vento, o altro.
Tese l'orecchio.
La pioggia scrosciava.
Il rumore si ripeté. La nonna lo sentì pure.
- Cos'è? - domandò la nonna dopo un momento, turbata.
- La pioggia, - mormorò il ragazzo.
- Dunque, Ferruccio, - disse la vecchia, asciugandosi gli occhi, - me lo prometti che sarai buono, che non farai mai più piangere la tua povera nonna...
Un nuovo rumor leggiero la interruppe.
- Ma non mi pare la pioggia! - esclamò, impallidendo - ... va' a vedere!
Ma soggiunse subito: - No, resta qui! - e afferrò Ferruccio per la mano.
Rimasero tutti e due col respiro sospeso. Non sentivan che il rumore dell'acqua.
Poi tutti e due ebbero un brivido.
All'uno e all'altra era parso di sentire uno stropiccìo di piedi nello stanzino.
- Chi c'è? - domandò il ragazzo, raccogliendo il fiato a fatica.
Nessuno rispose.
- Chi c'è? - ridomandò Ferruccio, agghiacciato dalla paura.
Ma aveva appena pronunciato quelle parole, che tutt'e due gettarono un grido di terrore. Due uomini erano balzati nella stanza; l'uno afferrò il ragazzo e gli cacciò una mano sulla bocca; l'altro strinse la vecchia alla gola; il primo disse: - Zitto, se non vuoi morire! - il secondo: - Taci! - e levò un coltello. L'uno e l'altro avevano una pezzuola scura sul viso, con due buchi davanti agli occhi.
Per un momento non si sentì altro che il respiro affannoso di tutti e quattro e lo scrosciar della pioggia; la vecchia metteva dei rantoli fitti, e aveva gli occhi fuor del capo.
Quello che teneva il ragazzo, gli disse nell'orecchio: - Dove tiene i danari tuo padre?
Il ragazzo rispose con un fil di voce, battendo i denti: - Di là... nell'armadio.
- Vieni con me, - disse l'uomo.
E lo trascinò nello stanzino, tenendolo stretto alla gola. Là c'era una lanterna cieca, sul pavimento.
- Dov'è l'armadio? - domandò.
Il ragazzo, soffocato, accennò l'armadio.
Allora, per esser sicuro del ragazzo, l'uomo lo gittò in ginocchio, davanti all'armadio, e serrandogli forte il collo fra le proprie gambe, in modo da poterlo strozzare se urlava, e tenendo il coltello fra i denti e la lanterna da una mano, cavò di tasca con l'altra un ferro acuminato, lo ficcò nella serratura, frugò, ruppe, spalancò i battenti, rimescolò in furia ogni cosa, s'empì le tasche, richiuse, tornò ad aprire, rifrugò: poi riafferrò il ragazzo alla strozza, e lo risospinse di là, dove l'altro teneva ancora agguantata la vecchia, convulsa, col capo arrovesciato e la bocca aperta.
Costui domandò a bassa voce: - Trovato?
Il compagno rispose: - Trovato.
E soggiunse: - Guarda all'uscio.
Quello che teneva la vecchia corse alla porta dell'orto a vedere se c'era nessuno, e disse dallo stanzino, con una voce che parve un fischio: - Vieni.
Quello che era rimasto, e che teneva ancora Ferruccio mostrò il coltello al ragazzo e alla vecchia che riapriva gli occhi, e disse: - Non una voce, o torno indietro e vi sgozzo!
E li fisso un momento tutti e due.
In quel punto si sentì lontano, per lo stradone, un canto di molte voci.
Il ladro voltò rapidamente il capo verso l'uscio, e in quel moto violento gli cadde la pezzuola dal viso.
La vecchia gettò un urlo: - Mozzoni!
- Maledetta! - ruggì il ladro, riconosciuto. - Devi morire!
E si avventò a coltello alzato contro la vecchia, che svenne sull'atto.
L'assassino menò il colpo.
Ma con un movimento rapidissimo, gettando un grido disperato, Ferruccio s'era lanciato sulla nonna, e l'aveva coperta col proprio corpo.
L'assassino fuggì urtando il tavolo e rovesciando il lume, che si spense.
Il ragazzo scivolò lentamente di sopra alla nonna, e cadde in ginocchio, e rimase in quell'atteggiamento, con le braccia intorno alla vita di lei e il capo sul suo seno.
Qualche momento passò; era buio fitto; il canto dei contadini s'andava allontanando per la campagna. La vecchia rinvenne.
- Ferruccio! - chiamò con voce appena intelligibile, battendo i denti.
- Nonna, - rispose il ragazzo.
La vecchia fece uno sforzo per parlare; ma il terrore le paralizzava la lingua.
Stette un pezzo in silenzio, tremando violentemente. Poi riuscì a domandare:
- Non ci son più?
- No.
- Non m'hanno uccisa, - mormorò la vecchia con voce soffocata.
- No... siete salva, - disse Ferruccio, con voce fioca. - Siete salva, cara nonna. Hanno portato via dei denari. Ma il babbo... aveva preso quasi tutto con sé.
La nonna mise un respiro.
- Nonna, - disse Ferruccio, sempre in ginocchio, stringendola alla vita, - cara nonna... mi volete bene, non è vero?
- Oh Ferruccio! povero figliuol mio! - rispose quella, mettendogli le mani sul capo, - che spavento devi aver avuto! Oh Signore Iddio misericordioso! Accendi un po' di lume... No, restiamo al buio, ho ancora paura.
- Nonna, - riprese il ragazzo, - io v'ho sempre dato dei dispiaceri...
- No, Ferruccio, non dir queste cose; io non ci penso più, ho scordato tutto, ti voglio tanto bene!
- V'ho sempre dato dei dispiaceri, - continuò Ferruccio, a stento, con la voce tremola; - ma... vi ho sempre voluto bene. Mi perdonate?... Perdonatemi, nonna
- Sì, figliuolo, ti perdono, ti perdono con tutto il cuore. Pensa un po' se non ti perdono. Levati d'in ginocchio, bambino mio. Non ti sgriderò mai più. Sei buono, sei tanto buono! Accendiamo il lume. Facciamoci un po' di coraggio. Alzati, Ferruccio.
- Grazie, nonna, - disse il ragazzo, con la voce sempre più debole. - Ora... sono contento. Vi ricorderete di me, nonna... non è vero? vi ricorderete sempre di me... del vostro Ferruccio.
- Ferruccio mio! - esclamò la nonna, stupita e inquieta, mettendogli le mani sulle spalle e chinando il capo, come per guardarlo nel viso.
- Ricordatevi di me, - mormorò ancora il ragazzo con una voce che pareva un soffio. - Date un bacio a mia madre... a mio padre... a Luigina... Addio, nonna...
- In nome del cielo, cos'hai! - gridò la vecchia palpando affannosamente il capo del ragazzo che le si era abbandonato sulle ginocchia; e poi con quanta voce avea in gola disperatamente: - Ferruccio! Ferruccio! Ferruccio! Bambino mio! Amor mio! Angeli del paradiso, aiutatemi!
Ma Ferruccio non rispose più. Il piccolo eroe, il salvatore della madre di sua madre, colpito d'una coltellata nel dorso, aveva reso la bella e ardita anima a Dio.

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10/04/2006 19:56

Ecco uno dei racconti tra i più tristi seppur permeato di un altrissimo senso morale e sentimentale: il proprio sacrificio per gli altri, in questo caso la nonnina.

Altri racconti, se non tutti, di Cuore sono legati da questo sottile filo, ma solo qui (a mio vedere) si raggiungono tali livelli si eroismo comune, quello cioè non legato a grandi gesta ma ad atti spontanei neti all'interno di realtà inferiori quali quelle narrate da De Amicis.

[Modificato da ripley.bogans 10/04/2006 19.57]




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10/04/2006 20:04

Re:

Scritto da: ripley.bogans 10/04/2006 19.56
Ecco uno dei racconti tra i più tristi seppur permeato di un altrissimo senso morale e sentimentale: il proprio sacrificio per gli altri, in questo caso la nonnina.

Altri racconti, se non tutti, di Cuore sono legati da questo sottile filo, ma solo qui (a mio vedere) si raggiungono tali livelli si eroismo comune, quello cioè non legato a grandi gesta ma ad atti spontanei neti all'interno di realtà inferiori quali quelle narrate da De Amicis.

[Modificato da ripley.bogans 10/04/2006 19.57]




E' bello leggere le tue parole, mi piace vedere che qualcuno condivide i tuoi stessi sentimenti rispetto ad un'opera di un valore morale altissimo [SM=x53148]

Ed ecco il racconto di aprile...

Valor civile
Racconto mensile

Al tocco eravamo col maestro davanti al Palazzo di città per veder dare la medaglia del valor civile al ragazzo che salvò il suo compagno dal Po.
Sul terrazzo della facciata sventolava una grande bandiera tricolore.
Entrammo nel cortile del Palazzo.
Era già pieno di gente. Si vedeva in fondo un tavolo col tappeto rosso, e delle carte sopra, e dietro una fila di seggioloni dorati per il Sindaco e per la Giunta: c'erano gli uscieri del Municipio con la sottoveste azzurra e le calze bianche. A destra del cortile stava schierato un drappello di guardie civiche, che avevano molte medaglie, e accanto a loro un drappello di guardie daziarie; dall'altra parte i pompieri, in divisa festiva, e molti soldati senz'ordine, venuti là per vedere: soldati di cavalleria, bersaglieri, artiglieri. Poi tutt'intorno dei signori, dei popolani, alcuni ufficiali, e donne e ragazzi, che si accalcavano. Noi ci stringemmo in un angolo dov'erano già affollati molti alunni d'altre sezioni, coi loro maestri, e c'era vicino a noi un gruppo di ragazzi del popolo, tra i dieci e i diciott'anni, che ridevano e parlavan forte, e si capiva ch'erano tutti di Borgo Po, compagni o conoscenti di quello che doveva aver la medaglia. Su, a tutte le finestre, c'erano affacciati degli impiegati del Municipio; la loggia della biblioteca pure era piena di gente, che si premeva contro la balaustrata; e in quella del lato opposto, che è sopra il portone d'entrata, stavano pigiate un gran numero di ragazze delle scuole pubbliche, e molte ragazze militari, coi loro bei veli celesti. Pareva un teatro. Tutti discorrevano allegri, guardando a ogni tratto dalla parte del tavolo rosso, se comparisse nessuno. La banda musicale suonava piano in fondo al portico. Sui muri alti batteva il sole. Era bello.
All'improvviso tutti si misero a batter le mani dal cortile, dalle logge, dalle finestre.
Io m'alzai in punta di piedi per vedere.
La folla che stava dietro al tavolo rosso s'era aperta, ed eran venuti avanti un uomo e una donna. L'uomo teneva per mano un ragazzo.
Era quello che aveva salvato il compagno.
L'uomo era suo padre, un muratore, vestito a festa. La donna, - sua madre, - piccola e bionda, aveva una veste nera. Il ragazzo, anche biondo e piccolo, aveva una giacchetta grigia.
A veder tutta quella gente e a sentir quello strepito d'applausi, rimasero lì tutti e tre, che non osavano più né guardare né muoversi. Un usciere municipale li spinse accanto al tavolo, a destra.
Tutti stettero zitti un momento, e poi un'altra volta scoppiarono gli applausi da tutte le parti. Il ragazzo guardò su alle finestre e poi alla loggia delle Figlie dei militari; teneva il cappello fra le mani, sembrava che non capisse bene dove fosse. Mi parve che somigliasse un poco a Coretti, nel viso; ma più rosso. Suo padre e sua madre tenevan gli occhi fissi sul tavolo.
Intanto tutti i ragazzi di borgo Po, che eran vicini a noi, si sporgevano avanti, facevano dei gesti verso il loro compagno per farsi vedere, chiamandolo a voce bassa: - Pin! Pin! Pinot! - A furia di chiamarlo si fecero sentire. Il ragazzo li guardò, e nascose il sorriso dietro il cappello.
A un dato punto tutte le guardie si misero sull'attenti.
Entrò il Sindaco, accompagnato da molti signori.
Il Sindaco, tutto bianco, con una gran sciarpa tricolore, si mise al tavolino, in piedi; tutti gli altri dietro e dai lati.
La banda cessò di suonare, il Sindaco fece un cenno, tutti tacquero.
Cominciò a parlare. Le prime parole non le intesi bene; ma capii che raccontava il fatto del ragazzo. Poi la sua voce s'alzò, e si sparse così chiara e sonora per tutto il cortile, che non perdetti più una parola. - ...Quando vide dalla sponda il compagno che si dibatteva nel fiume, già preso dal terrore della morte, egli si strappò i panni di dosso e accorse senza titubare un momento. Gli gridarono: - T'anneghi!, - non rispose; lo afferrarono, si svincolò; lo chiamaron per nome, era già nell'acqua. Il fiume era gonfio, il rischio terribile, anche per un uomo. Ma egli si slanciò contro la morte con tutta la forza del suo piccolo corpo e del suo grande cuore; raggiunse e afferrò in tempo il disgraziato, che già era sott'acqua, e lo tirò a galla; lottò furiosamente con l'onda che li volea travolgere, col compagno che tentava d'avvinghiarlo; e più volte sparì sotto e rivenne fuori con uno sforzo disperato; ostinato, invitto nel suo santo proposito, non come un ragazzo che voglia salvare un altro ragazzo, ma come un uomo, come un padre che lotti per salvare un figliuolo, che è la sua speranza e la sua vita. Infine, Dio non permise che una così generosa prodezza fosse inutile. Il nuotatore fanciullo strappò la vittima al fiume gigante, e la recò a terra, e le diè ancora, con altri, i primi conforti; dopo di che se ne tornò a casa solo e tranquillo, a raccontare ingenuamente l'atto suo. Signori! Bello, venerabile è l'eroismo nell'uomo. Ma nel fanciullo, in cui nessuna mira d'ambizione o d'altro interesse è ancor possibile; nel fanciullo che tanto deve aver più d'ardimento quanto ha meno di forza; nel fanciullo a cui nulla domandiamo, che a nulla è tenuto, che ci pare già tanto nobile e amabile, non quando compia, ma solo quando comprenda e riconosca il sacrificio altrui; l'eroismo nel fanciullo è divino. Non dirò altro, signori. Non voglio ornar di lodi superflue una così semplice grandezza. Eccolo qui davanti a voi il salvatore valoroso e gentile. Soldati, salutatelo come un fratello; madri, beneditelo come un figliuolo; fanciulli, ricordatevi il suo nome, stampatevi nella mente il suo viso, ch'egli non si cancelli mai più dalla vostra memoria e dal vostro cuore. Avvicinati, ragazzo. In nome del Re d'Italia, io ti do la medaglia al valor civile.
Un evviva altissimo, lanciato insieme da molte voci, fece echeggiare il palazzo.
Il Sindaco prese sul tavolo la medaglia e l'attaccò al petto del ragazzo. Poi lo abbracciò e lo baciò.
La madre si mise una mano sugli occhi, il padre teneva il mento sul petto.
Il Sindaco strinse la mano a tutti e due, e preso il decreto della decorazione, legato con un nastro, lo porse alla donna.
Poi si rivolse al ragazzo e disse: - Che il ricordo di questo giorno così glorioso per te, così felice per tuo padre e per tua madre, ti mantenga per tutta la vita sulla via della virtù e dell'onore. Addio!
Il Sindaco uscì, la banda sonò e tutto parea finito, quando il drappello dei pompieri s'aperse, e un ragazzo di otto o nove anni, spinto innanzi da una donna che subito si nascose, si slanciò verso il decorato e gli cascò fra le braccia.
Un altro scoppio d'evviva e d'applausi fece rintronare il cortile; tutti avevan capito alla prima: quello era il ragazzo stato salvato dal Po, che veniva a ringraziare il suo salvatore. Dopo averlo baciato, gli si attaccò a un braccio per accompagnarlo fuori. Essi due primi, e il padre e la madre dietro, s'avviarono verso l'uscita, passando a stento fra la gente che faceva ala al loro passaggio, guardie, ragazzi, soldati, donne, alla rinfusa. Tutti si spingevano avanti e s'alzavano in punta di piedi per vedere il ragazzo. Quelli che eran sul passaggio gli toccavan la mano. Quando passò davanti ai ragazzi delle scuole, tutti agitarono i berretti per aria. Quelli di borgo Po fecero un grande schiamazzo, tirandolo per le braccia e per la giacchetta, e gridando: - Pin, viva Pin! Bravo Pinot! - Io lo vidi passar proprio vicino. Era tutto acceso nel viso, contento: la medaglia aveva il nastro bianco, rosso e verde. Sua madre piangeva e rideva; suo padre si torceva un baffo con una mano, che gli tremava forte, come se avesse la febbre. E su dalle finestre e dalle logge seguitavano a sporgersi fuori e ad applaudire. Tutt'a un tratto, quando furono per entrar sotto il portico, venne giù dalla loggia delle Figlie dei militari una vera pioggia di pensieri, di mazzettini di viole e di margherite, che caddero sulla testa del ragazzo, del padre, della madre, e si sparsero in terra. Molti si misero a raccoglierli in fretta e li porgevano alla madre. E la banda in fondo al cortile sonava piano piano un'aria bellissima, che pareva il canto di tante voci argentine che s'allontanassero lente giù per le rive d'un fiume.

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